venerdì 30 ottobre 2015

La mafia degli onesti



Il 17 febbraio del 1992 veniva arrestato Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, un ospedale per anziani lombardo. Era stato colto in flagranza di reato mentre intascava una mazzetta e dal suo arresto scaturì la storica maxi-operazione nota a tutti con il nome di “Mani Pulite”. Leggenda vuole (ma l’interessato nega questa ricostruzione, tanto da aver fatto causa a chi l’ha divulgata in uno sceneggiato televisivo) che Chiesa, messo alle strette dagli inquirenti avrebbe gettato il contenuto di un’altra mazzetta da sette milioni di lire (circa 3.500 euro di oggi) nel water del suo ufficio, nel tentativo di disfarsi delle prove. Sempre secondo la narrazioni semi-leggendaria, il bagno si sarebbe intasato e un melodrammatico sgorgo di acqua e denaro (insieme ad altri immaginabili residuati) si sarebbe sparso per tutta il bagno. Iniziava così, nell’immaginario collettivo, con un fiume di acqua, soldi e scarti organici, la più grande e forse incompleta operazione di pulizia amministrativa della storia recente del nostro paese. L’interessato a dichiarato invece che quei soldi, erano al sicuro in un a sua borsa, dentro una busta anonima. Non sappiamo dove fossero i soldi delle tangenti di Mario Chiesa quel giorno. Ma oggi, dopo quell’inchiesta, sappiamo come circolavano le mazzette e i “premi produzione” degli illeciti amministrativi. Valigette, buste, plichi. C’era chi aveva i lingotti d’oro nascosti negli armadi, chi confessava di conti correnti esteri ai carabinieri direttamente dal citofono di casa, chi si costituiva per assunzioni truccate, favori e molto altro. Oggi si può tranquillamente affermare che, in generale, i fondi illeciti hanno fatto un altro giro. Dai presunti water intasati, le buste anonime, le borse e i passaggi di mano in luoghi affollati i soldi dei piccoli e grandi favori sono finiti direttamente nelle determine. In ambito generale, affidamenti illegittimi, appalti ritardatari, assegnazioni provvisorie, lavori infiniti, finanziamenti vari, sono la linfa vitale delle tangenti moderne. Eppure, i mezzi di controllo democratico non mancherebbero. A differenza degli anni novanta oggi internet e una generazione di lettori più attenti e “smart” potrebbero fare la differenza. Al cittadino può certamente appassionare il gioco della riprogettazione urbana. Di certo potrebbe avere idee intelligenti sui parcheggi, la ciclabilità, la frazione delle risorse turistiche e di tutto li scibile amministrativo. Di certo ha il diritto di pensare come se fosse “sindaco di se stesso”. Ma la priorità assoluta che il cittadino dovrebbe richiedere, ogniqualvolta si confronta con la macchina amministrativa, dovrebbe essere la chiarezza e la trasparenza. Perché mentre si discute degli affidamenti del verde, nella perfetta regolarità formale, appalti milionari scadono senza che nessuno (per negligenza o per dolo, e francamente non si sa cosa sia peggio) si premuri di rinnovarli. Si riaffidano lavori con costi esorbitanti, si fanno le fortune delle aziende, senza che quasi nessuno lo noti e senza comunque nessun clamore. La “mazzetta” ormai, sembra che abbia preso un’altra strada, e la mafia degli onesti ormai, è molto più grande e più forte di quanto non si possa immaginare. La trasparenza è la risposta. 

domenica 18 ottobre 2015

Il discorso del Questore: "non è finita qui"




Il Questore di Latina Giuseppe De Matteis (foto De Vitis)


"Buonasera, cittadini di Latina. Io non sono molto bravo con le parole quindi voglio soltanto dirvi tre cose: la prima è che io ho trent'anni di polizia. Ho iniziato da vicecommissario trent'anni fa e nella mia carriera ne ho viste parecchie. Ho avuto dei dolori e delle soddisfazioni. Ma questa sera per me è la più grande soddisfazione di questi trent'anni di lavoro. Grazie per quello che state facendo. Voglio dirvi un’altra cosa. Voi conoscete me, conoscete il dirigente della Squadra Mobile Tommaso Niglio. Conoscete gli uomini della Squadra mobili che da venti e più anni lavorano su questo territorio. E lo fanno con un senso del sacrificio veramente encomiabile. Qui ho conosciuto una squadra di poliziotti di quelli che si vedono nei film. E io li ho conosciuti qui, nella realtà. Gente che lavora senza orario, con grande sacrificio e fatica. Gente che rinuncia alla famiglia, che rischia la pelle tutti i giorni ed è a loro che dobbiamo il nostro primo ringraziamento. Perché fanno davvero la differenza e ci fanno sentire orgogliosi di appartenere a questo stato. La terza cosa che voglio dirvi è che noi qui non abbiamo scoperto nulla che voi cittadini non sapevate. Abbiamo però messo le mani su una situazione che era un cancro per questa città. E vi devo chiedere scusa, sinceramente. Perché non ci siamo riusciti prima di oggi. Allora, con molto coraggio, io volevo ricordare che voi siete cittadini di questa città, siete cittadini di Latina. Siete figli e nipoti di una razza di uomini che dalla palude ha creato una città. Non è giusto, non è bello, non è tollerabile che qualcuno si sia impadronito di questa città e questa provincia. Allora, voi lo sapete, che ascoltando queste persone che abbiamo assicurato alla giustizia, ce n’erano alcuni che pensavano di essere i padroni di questa bellissima città. Ma i padroni siamo noi, siete voi cittadini di Latina. Lo stato siamo tutti  noi, persone per bene. I veri padroni siamo noi e questa sera, da questo corteo spontaneo (e vi sto chiamando cittadini, non associazioni, non gruppi di parte ma cittadini), questa sera dicevo, nasce un patto indelebile tra le forze di polizia di Latina e i cittadini: aiutateci, stateci vicini, venite a raccontarci quello che vivete sulla vostra pelle. Qui troverete ascolto, comprensione e protezione. Faremo tutto molto più in fretta, così che sia chiaro, una volta per tutte, che quello che abbiamo fatto fino a qui, è solo l’inizio. Grazie a tutti voi”.

sabato 17 ottobre 2015

Sulla libertà di stampa si predica bene ma...




(Riporto qui l'articolo del giornalista Clemente Pistilli de "Il Giornale di Latina" che condivido in pieno)

Si fa presto a dire “Je suis Charlie”, postando un cartello su Facebook o partecipando a una marcia. Restando in ambito strettamente locale è facile anche scrivere #stoconaielli, dopo le epigrafi intimidatorie nei confronti della giudice. Lodare la stampa libera nel corso di incontri o comunicazioni ufficiali rende subito un pubblico amministratore un moralizzatore. E poi fa così tendenza un po’ per tutti dichiarare che non c’è più il giornalismo di una volta, quello d’inchiesta, e che le penne di oggi sono serve del potere. Diverso, però, è cercare ogni giorno di realizzare un giornale, fare onestamente il proprio lavoro e tentare di fornire soltanto un quadro e un’analisi ai lettori nel modo più accurato possibile. Anche in provincia chi “è Charlie” o “#staconaielli” capita che non #stacoinigiornalisti. Nel momento in cui chi scrive va oltre il comunicato stampa, oltre la verità ufficiale, quella “velinara” e, senza neppure fare grandi inchieste, non fosse altro che per la mancanza di mezzi, si limita a sviscerare le indagini condotte dalla locale magistratura, diventa un fastidio. Un elemento di disturbo tanto per l’uomo della strada che per quello delle istituzioni.
La locandina dell'evento
Un nemico quando riporta fedelmente i temi oggetto d’inchiesta, come emergono dagli atti giudiziari, e un nemico da abbattere se prova a contestualizzarli, mettendo in fila nulla più che dati oggettivi. A quel punto la stampa libera non piace più e contro quella stampa si passa all'azione. I sistemi sono tanti e i colpi hanno ormai in terra pontina cadenza quotidiana. Il primo è quello dell’insinuare il dubbio, meglio se sui social network, che non hanno nulla di ufficiale ma da lì i messaggi arrivano presto e a molti. Del resto, anche Lenin diceva: Infanga, infanga, anche se non è vero qualcosa resta. Si comincia così a insinuare che il tale giornalista sia un diffamatore di professione o almeno un incompetente, un abusivo e pure sgrammaticato, uno soprattutto che non fa informazione ma colpisce Tizio o Caio per agevolare Sempronio. Ore passate a studiare carte e notti davanti a un pc diventano nulla di più che la costruzione di una gigantesca macchina del fango. E se si riesce a dipingere così un intero giornale ancora meglio. Poi si alza il tiro: diffide e querele, utili a scoraggiare il cronista dall'andare avanti nel suo lavoro e, se tutto va bene, anche a far sganciare un bel po’ di soldi a un giornale, così magari, con i finanziamenti pubblici che sono solo un ricordo, chiude. Quando poi tutto ciò non dovesse bastare si attivano i poteri forti, nel tentativo di far cacciare a pedate chi ha osato fare il suo lavoro, col ricatto, spesso, che in caso contrario a un determinato organo d’informazione si fa venire meno anche quel minimo di introito commerciale con cui tira avanti. Un’inchiesta giornalistica, scriveva uno degli ultimi grandi maestri, Giuseppe D’Avanzo, che per fare bene il suo lavoro è finito anche in carcere, è la paziente fatica di portare alla luce i fatti, di mostrarli nella loro forza incoercibile e nella loro durezza. Il buon giornalismo sa che i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere e se ne fa custode nell’interesse dell’opinione pubblica. Nel piccolo questo tanti provano a fare, ogni giorno, 365 giorni l’anno. Questo sta provando a fare Il Giornale di Latina da oltre un anno a questa parte, con grandi sacrifici da parte di tutti quelli che, senza andare in piazza, senza giocherellare sui social network, senza chiedere il sostegno delle organizzazioni di categoria, ma solo col sudore della propria fronte, cercano soltanto di fare i giornalisti. Il resto è “Charlie” da salotto. O da social.

venerdì 2 ottobre 2015

De Marchis e l'accusa di estorsione...



Giorgio De Marchis, ex consigliere comunale, ex capogruppo Pd di Latina (prima di essere defenestrato e sostituito da Alessandro Cozzolino), quasi consigliere regionale e responsabile della trasparenza dell’Ater, commentando le notizie apparse sul “Il Giornale di Latina” che riguardavano Paolo Galante ha lanciato una accusa precisa. Il sottoscritto (redattore dell’articolo) sarebbe un “estorsore”. Più volte ho chiesto pubblicamente conto di questa definizione al suddetto, sia su Facebook che privatamente. Ma non vi è stata alcuna risposta. Ha detto De Marchis: “alcuni cronisti locali confezionano falsi scoop, buoni solo per provare a ricattare qualcuno” e poi ancora : “I dossier casarecci, i maldestri tentativi di estorsione”. Ha poi spiegato – rispondendo ad altri, fatto curioso questo – la sua cosiddetta opinione in questo modo: “trovo inquietante che imbocchi nelle proprietà private sventolando dossier preconfezionati costruiti per insinuare, se questi non sono ricatti poco ci manca. Quando un giornalista ha i ‘dossier’ che provano qualcosa, scrive assumendosene la responsabilità, non sventola le sue ‘prove’ davanti al suo interlocutore a meno che non voglia intimorirlo”. Una bella sequela di sciocchezze, visto che il sottoscritto non ha sventolato niente, e si è presentato dall'interessato per avere una sua versione dei fatti da poter inserire nell’articolo affinché non si potesse dire che la sua versione era stata omessa. Galante ha declinato l’invito, libero di farlo, invitandoci a scrivere e che avrebbe poi risposto lui in un secondo momento. Questi politici – Claudio Moscardelli per primo – che si dimenticano che loro fanno un mestiere e c’è chi ne fa un altro sono un po’ curiosi, ed ogni volta che si scrive di loro, la prima cosa che fanno è accusare l’estensore dell’articolo di vicinanza con la parte avversa e poi parte la lezioncina di giornalismo. Aprano una bella scuola con De Marchis rettore e vediamo cosa ne esce fuori, visti i toni con i quali lui apostrofa gli altri. Ma cosa sarebbe successo se le parti fossero state invertite? Perché se il sottoscritto avesse per caso detto che qualche politico locale sta compiendo un “goffo tentativo di estorsione” vorrei proprio vedere di cosa staremmo parlando oggi. Oggi il sottoscritto sarebbe stato – giustamente credo io – interdetto dalla propria collaborazione giornalistica, e avrebbe dovuto cambiare lavoro. Cosa fa il Pd in questo caso? Si mette a discutere se Galante è di destra oppure no. I fatti sono questi, si scrive un articolo, documenti alla mano e un ex consigliere comunale anziché rispondere sul fatto parla di “estorsioni”. Se al Pd di Latina piace così, allora andiamo avanti.E dire che proprio De Marchis, dovrebbe avere a cuore la trasparenza. Mi sento, personalmente, di augurare buona fortuna al candidato Paolo Galante...con dei compagni di viaggio così, ne avrà davvero bisogno.