sabato 26 settembre 2015

E se Lollo non fosse il solo?


Il tribunale di Latina 


Eppure, a ben guardare, in questo scandalo del giudice Lollo sembra che qualcosa manchi all'appello. A ben guardare, avvocati, clienti, forze dell'ordine e normali cittadini hanno tutti una storia di malagiustizia da raccontare. E se Lollo è la degenerazione di un sistema, appare ovvio che è difficile che sia l'eccezione che conferma la regola, soprattutto là dove la regola dovrebbe essere quella di una magistratura pulita, ordinata, efficiente. Ovviamente, la maggior parte dei giudici, degli avvocati, dei cancellieri e di coloro che operano presso il tribunale, non sono sospettabili di avere “giri strani”. Ma vediamolo con gli occhi di ieri, questo “impero” con tanto di sudditi, di scudieri e di nobili che sembra abbia tirato su il giudice Lollo. Proviamo ad immaginarci solo qualche anno fa, mentre stendevamo anche solo una sottile ombra sull'operato del tribunale e della sezione fallimentare. Quali risposte avremmo ricevuto? E soprattutto, che epiteti ci avrebbero indirizzato i difensori ad oltranza dell'indipendenza della magistratura? La suddetta indipendenza, di fatto, si è allargata a dismisura negli ultimi vent'anni grazie alla presenza di un personaggio ingombrante come Berlusconi, che ha attaccato frontalmente i giudici che volevano processarlo, esasperando a tal punto il dibattito politico nazionale da rendere impossibile qualsiasi critica o controllo nei confronti dei togati, senza che essa venga scambiato per un attacco alla loro indipendenza. Se si unisce questo fatto - che ha come conseguenza che ad ogni livello politico/istituzionale, solo i magistrati e i giudici e uomini di legge possano opinare liberamente della questione Giustizia - all'incredibile ingolfamento della macchina giustizia, che ormai ci ha reso un paese con un livello di ingiustizia che supera quelli di molti paesi in via di sviluppo, allora si capisce che non occorrono casi eclatanti come quelli di Lollo per capire che molte cose possono celarsi dentro un simile marasma.
Il giudice Lollo
“Un giudice – diceva un magistrato d'altri tempi -non può e non deve essere un protagonista occulto dei cambiamenti sociali e politici. L'indipendenza del giudice non è solo nella propria coscienza, nell'incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio, nella credibilità che è riuscito a conquistarsi con le sue decisioni. L'indipendenza del giudice è anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta dentro e fuori delle mura del suo ufficio. Solo se un giudice realizza in sé stesso queste condizioni, la società può accettare ch'egli abbia sugli altri un potere così grande come quello che ha”. E come può un sistema talmente ingolfato e distante dai problemi della gente e dal loro bisogno di giustizia, impegnato a processare un contraffattore di occhiali per anni, in un processo con periti, testimoni, avvocati e che va avanti magari dal 2008, rispondere, con questa mole di lavoro e questi pochi mezzi ai criteri di trasparenza che sono richiesti per esercitare un così grande potere? E quanti piccoli e grandi “Lollo” sono sempre stati e saranno sempre attivi, protetti dalle vesti da magistrato? Chi poteva dubitare pubblicamente della moralità e della condotta di un giudice Lollo solo pochi anni fa? A pretendere tanto dai giudici non era un pericoloso liberale, un radicale, un berlusconiano o un “servo” della mafia, un “connivente” come si suol dire. Era un giudice morto giovanissimo, un servo dello Stato che lo Stato non è riuscito a salvare dalla vendetta della malavita. Quel magistrato era Rosario Angelo Livatino, morto il 21 settembre del 1990, pochi giorni fa era il 25 esimo anniversario della sua morte. E' morto ammazzato a 37 anni, oggi ne avrebbe 63, e - a ben guardare - difficilmente quello che è oggi la magistratura meriterebbe la sua approvazione.

venerdì 11 settembre 2015

Il segretario Comunale Pd, la Quattrola Srl e il suo rapporto con l'Ater


Il Quattrola politico che viene nominato segretario comunale del Pd


Quattrola presenta la sua nuova segreteria
Il 30 maggio del 2014 il Partito democratico di Latina investe Gioacchino Quattrola dell’incarico di segretario comunale del Partito. Un ruolo importante, che raccoglie il consenso di un consigliere comunale navigato come Enzo De Amicis, che definisce il fatto come “un evidente segnale di cambiamento” e il capogruppo in consiglio comunale Alessandro Cozzolino che nel fare i suoi più sentiti auguri al nuovo segretario aggiunge: “Insieme dobbiamo lavorare per ridare a questa città un governo all’altezza. Un governo di persone capaci, perbene, che non pensino agli interessi di qualcuno ma alle esigenze dei cittadini”. Così, dopo un anno di vacanza del posto di segretario che era stato lasciato libero da Mauro Visari, nasceva la carriera nella politica cittadina che conta di Gioacchino Quattrola, uomo del Pd, attivissimo nel circolo dem di “Latina Centro” e che nel 2010 era tra i fondatori del “comitato spontaneo per Claudio Moscardelli sindaco”. Una figura di profilo tranquillo, moscardelliano – sempre meno convinto da quel che dicono i rumors – della prima ora che aveva il compito di traghettare il partito verso le elezioni del 2016. 

Il segretario e la sua Srl di manutenzioni 


L'ex ufficio dogane di Aprilia
Di professione Quattrola è imprenditore nel campo della manutenzione edilizia e idraulica e a lui era riconducibile fino a poco tempo fa, una società che portava il suo nome con sede a Tor Tre Ponti, la “Quattrola Srl”. Una società che nel campo della manutenzione di grandi fabbricati, ha ottenuto buoni risultati sia nel campo del mercato privato che in quello pubblico. Nel 2010, infatti la Quattrola Srl (presumibilmente guidata da Gioacchino Quattrola o da qualche congiunto) partecipava con grande successo ad una importante gara d’appalto per una piccola azienda a conduzione propria. I lavori di realizzazione dei nuovi uffici della Dogana nell’ex complesso industriale dell’acqua Claudia. Lavori a base d’asta per un totale di 190 mila euro aggiudicato dall’azienda per 149.515,80 euro. Nella determina provinciale (registro 3893) si legge che sono stati emessi “certificati di pagamento a settembre e dicembre 2010” oltre allo svincolo della polizza fideiussoria. Un lavoro svolto a regola d’arte insomma, di cui l’ente provinciale poteva ritenersi soddisfatto per lo stabile sito nel territorio di Aprilia. 

La "Quattrola Srl" e il suo rapporto con l'Ater

La sede provinciale dell'Ater di Latina 

In base alla documentazione reperibile nel sito dell’Ater, il rapporto tra l’azienda territoriale della case popolari e il gruppo “Quattrola” inizia con una gara d’appalto che la Srl non vince. Si tratta di una procedura per assegnare lavori di manutenzione in un accordo “quadro” (ovvero con un vincolo fisso di ribasso) che valeva per gli immobili Ater presenti nei comuni di Castelforte, Formia, Itri, Minturno, SS Cosma e Damiano e Spigno Saturnia. Il cosiddetto “lotto 6”. A vincere la gara era stata la ditta “Gemini Appalti". Questa società rinuncia all’accordo vinto lasciando spazio alla Quattrola Srl che, con un ribasso del 27,77% si aggiudica lavori per 128.832,00 euro. Nasceva così, nell’estate dello scorso anno, l’accordo quadro tra la “Quattrola Srl” e L'Ater di Latina. E’ il marzo di quest’anno, invece, quando la ditta Quattrola cambia nome e diventa AG2 S.r.l. e nelle more dell’accordo quadro, compie 12 interventi dal gennaio del 2015 ad oggi ha compiuto 12 interventi per un importo complessivo di 54.078,34 euro. Per una piccola impresa, un bel introito. Niente di illegale o di strano in questo racconto, se non fosse che ad aggiudicarsi questi lavori non sia il segretario comunale del Partito democratico

Il Quattrola inopportuno


Se è vero che non c’è nessun illecito, però, qualche perplessità sulla natura del rapporto tra la politica e l’Ater potrà pure sorgere. Soprattutto se si considera che l’ente è stato presieduto da Claudio Lecce (ex segretario provinciale Pd), ha avuto come vicepresidente Enrico Forte (attualmente un consigliere regionale) che però non hanno mai esercitato i due incarichi contemporaneamente. Una azienda dove il responsabile alla trasparenza è l’ex consigliere comunale Giorgio De Marchis (entrato tramite regolare concorso) e si ritrova nel comitato tecnico dell’ente (cento euro a presenza, ma con pochissime riunioni all’attivo) l’ex consigliere comunale Marco Fioravante, e questo solo per citare i più recenti esponenti della sinistra pontina. La Ag2 (un tempo Quattrola Srl) ha certamente diritto a lavorare. Ma è proprio necessario che il segretario comunale del Pd sia in affari con una azienda pubblica? 


mercoledì 9 settembre 2015

Il candidato sindaco di Moscardelli è poco "Galante"

L'imprenditore Paolo Galante
Il “Foro Appio” Mansion Hotel è il fiore all'occhiello della carriera di imprenditore di Paolo Galante, il nome nuovo scelto dalla sponda moscardelliana del Pd, per la corsa a sindaco. Si tratta di una struttura ricettiva a quattro stelle stupenda, con tanto di piscina, jacuzzi in camera, ristorante di gran classe e perfino dotata di eliporto.  “La magia del luogo – si legge nel sito dell’albergo - è stata intuita dal Valadier, grande architetto di Papa Braschi (Pio VI), che ha ampliato l'originale complesso murario realizzando un maestoso fabbricato di tre piani con cornicioni e marcapiani di gran fattura”.
Il foro Appio Hotel
Si trattava, nel
1700, di una stazione di posta con possibilità di pernottamento posizionata in un luogo strategico per i viandanti dell’Appia. Per testare la qualità dell’albergo in questione basta andare sul famoso sito per viaggiatori “TripAdvisor”, dove gli ospiti dell’albergo possono lasciare un loro commento sulla qualità dei servizi, la cortesia del personale, pulizia, cibo e altro. Su 157 recensioni nel sito, 131 sono molto positive e catalogano l’albergo come un posto da sogno. Le altre 36, invece, sono critiche, a volte nemmeno con tutta la struttura, ma solo con alcuni particolari. Un trend molto più che positivo, si potrebbe pensare, che lascerebbe soddisfatto qualsiasi direttore/proprietario di un albergo. Ma non l’implacabile Paolo Galante, che ritroviamo dietro la tastiera, pronto a ribattere con piglio fantasioso un puntiglio micidiale, ogni critica dei 26 malcapitati recensori. Per esempio, un ex ospite del Foro Appio così commentava un suo soggiorno di due giorni:

“Ottimo servizio, camerieri gentili, ristorante carinissimo. La struttura è accogliente ma necessita di una certa manutenzione, una riverniciatina delle pareti a lato strada e la pulizia delle foglie. Centro Benessere da migliorare per essere un quattro stelle”.

Qualcuno che si firma come “il direttore” così risponde:
“Ci perdoni per qualche foglia nel viale. La prossima volta lei decida di venire nella nostra bellissima provincia Ci chiami, in qualche maniera Le risolviamo il problema magari nel periodo della sua permanenza Le lasciamo notte e giorno un giardiniere fisso davanti alla sua stanza. Non si allarmi, senza aggravio del prezzo. Firmato il Direttore”.

Non si muove foglia che Galante non voglia, insomma, e la critica anche sfumata dai complimenti, viene subito presa male dal direttore. 

Un altro cliente scontento si lamenta:
“Sebbene la struttura si proponga come un quattro stelle, l’ambiente è familiare e le stanze risultano un po’ anonime” 

 Galante è tranchant: 
“Circa il suo giudizio sulle quattro stelle sorvoliamo, dal livello della sua recensione si capisce che lei non sia addetta ai lavori”.

 E ancora un altro dice: 
“abbiamo avuto un inconveniente, visto che per un guasto è venuta a mancare l’acqua calda e la receptionist con noi è stata poco professionale nel rispondere a questa nostra perplessità”. 

Galante si butta a capofitto nella risposta difendendo a spada tratta la sua dipendente: 
“Non è stata poco educata esordisce Galante nella sua risposta. Seguiva alla lettera la nostra procedura aziendale che testé le riassumo: poche chiacchiere e rapida risoluzione del problema. Lei ha atteso 23 minuti che venissero eseguite le riparazioni. Se fosse successo a casa sua, a meno che non abbia parenti idraulici, avrebbe dovuto attendere giorni interi”. 

“la vasca della jacuzzi era bucata – accusa un altro cliente scontento – i miei soldi però non avevano buchi quando ho pagato”. 

Pronta la risposta del superdirettore Galante: 
“Capita di frequente che molte persone non abbiano mai usato una jacuzzi in vita loro e sbaglino a posizionare il bocchettone allagando le stanze (…) si fanno dei film per difetto di conoscenze, se ci avesse avvertito, le avremmo consigliato una suite meno complicata, magari con la doccia”. 

Anche il vulcanico direttore è preso di mira da qualche critica. 
“Struttura incantevole, peccato per l’arroganza del direttore nel rispondere ad un addebito di cinque euro sul conto (…) il cliente non andrebbe aggredito in quella maniera”. 

“Le critiche al direttore poco interessano – taglia corto in parte della sua risposta Galante – penso che la reprimenda del sottoscritto fosse più giusta che il suo poco elegante atteggiamento nel contestare cinque euro di addebito per mantenere le sue esigenze culinarie da orco delle fiabe”. Guai a criticare la struttura dal punto di vista estetico, viene subito rinfacciata la fattura settecentesca del Valadier. Mai criticare il cibo, arriva subito pronta la correzione: “come si fa a confondere uno strudel con una torta al cioccolato qualsiasi?”. Ma soprattutto, mai e poi mai criticare le dotazioni delle camere, su queste il direttore non transige. 

“Il personale in camera – si lamenta una signora – non è attento ai piccoli dettagli. Mancava per esempio la carta igienica”. 

Sgarro imperdonabile per il direttore Galante che supera se stesso: 
“Premesso che i nostri bagni dotati altresì di porta rotolo carta igienica e porta rotolo di scorta per un totale di due rotoli ogni bagno. Gentile Signora se ci avesse chiesto altri rotoli di carta igienica Le assicuro non avremmo avuto alcun problema avremmo potuto portargliene altri. Indicarle il deposito al piano talora non avesse voluto far sapere al personale del Suo uso esagerato”. 

Chissà che questo pignolissimo direttore d’albergo non sia proprio quello che ci vuole per dare una raddrizzata ai quadri dirigenti del Partito democratico. Forse è proprio per questo che Moscardelli e i suoi lo hanno scelto. In ogni caso, alla prima lamentela quelli del Pd sono avvisati. 
Con Paolo Galante non si scherza.  

martedì 8 settembre 2015

Ma di chi è il Lago Di Paola? Della comunità o di un privato?



Domanda facile per tutti: di chi è il Lago di Paola?

Lo avevamo detto che era è facile, la sanno tutti. Il Lago di Paola è della famiglia Scalfati, ottenuto in un primo momento in una regolare asta pubblica e poi nel 1888 è stato acquistato da un avo degli Scalfati. “A partire dal secondo dopo guerra- come si legge nel sito “Proprietà Scalfati”- sessant’anni di contenziosi hanno confermato la sua natura privata, escludendo l’appartenenza del Lago di Paola al demanio idrico”. Sarebbe stata proprio questa circostanza, secondo la famiglia “a salvaguardare il lago nel suo stato naturale, anche da interessi non sempre limpidi, finalizzati alla realizzazione di un porto”. Questa è la storia, così come la conoscono tutti. Quindi rispondere alla domanda sembra facile. 


Di chi è il Lago di Paola? 

In tempi più recenti, diversi scontri, anche molto pesanti, si sono susseguiti tra la famiglia e alcune amministrazioni, in particolare quella del Comune di Sabaudia. Oggi si parla di “tavolo di discussione”. Il sindaco Lucci, in una nota pubblica richiedeva “la definizione di un tavolo tecnico utile a pervenire ad un quadro esaustivo ed univoco circa la natura giuridica del bene lago (pubblica/privata)”
In pratica, chi li deve pagare i conti del Lago di Paola? 

Il sindaco di Sabaudia Lucci
Insomma, la risposta alla nostra prima domanda è facile, ma altre domande s’affollano. Anche il Pd ha emesso una nota sulla vicenda, attraverso Pietro Piroli che prima, e non senza ragioni, fa notare le contraddizioni tra il Lucci guerreggiante di un tempo con quello più ragionevole e preoccupato per le spese di oggi. Ma poi Piroli prosegue dicendo “il sindaco deve avere il coraggio di portare in Regione la richiesta, meglio se unanime, del consiglio comunale di includere il lago nel registro delle acque pubbliche.  Meglio interrompere un attimo qui l’esponente Pd, spiegando che il registro delle acque pubbliche non esiste più. La legge che lo prevedeva è stata modificata dalla legge Galli nel 1994 e da successive modifiche allo stesso regolamento. In questa legge si prevede, pacificamente, che “tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e appartengono al demanio dello Stato”. Poi Piroli, che già si è confuso, parla di un “non meglio precisato diritto di prelazione della famiglia Scalfati” e qui lo abbandoniamo, lo saprà lui dove vuole arrivare. 
Ma vediamo che la vicenda si complica ulteriormente. “Avevo ragione io quando dicevo che le spese dovevano essere a carico del proprietario” tuona il consigliere del Ncd Piero Giuliani, ricordandoci che l’acqua del lago verrebbe ossigenata con una pompa (quella di Caterattino) che sarebbe pagata dal Comune e quindi, da tutti i cittadini. “E’ ora che il Sig. Bazuro, rivendicando la proprietà del Lago, si assuma anche gli oneri e la responsabilità dei danni arrecati ai cittadini” ha dichiarato in passato l’agguerrito consigliere di Ncd. La proprietà del Lago ha risposto, dicendo che sono disposti a partecipare alle spese di gestione e si dicono disposti a mettere un loro ciclo di pompaggio a proprie spese. La vicenda, quindi,  diventa sempre più complessa ma la domanda è ancora semplice: 

Di chi è il lago di Paola? 

Spesso ci vengono in aiuto le leggende popolari e nella zona ce n’è una particolarmente cara alla popolazione: quella della Madonna della Sorresca. La leggenda vuole che dei pescatori- a volte sono di Terracina, altri invece dicono che fossero di S. Felice e su questo è basato un secolare contenzioso-  molto tempo fa andarono nel lago di Paola a pescare e con le loro reti tirarono su una figura lignea, ovvero una statua della Madonna intagliata nel legno con un Gesù bambino sulle ginocchia “Sbalorditi e commossi, pensarono di portare la sacra Immagine, rosicchiata in parte dai tarli marini, in una chiesa e scelsero quella di S. Paolo, ai piedi del promontorio del Circeo, lambita dal canale che collega il lago al mare” così racconta il sito ufficiale dedicato al santuario della Sorresca. Il giorno dopo i pescatori volevano ammirare la statua ma quella era sparita e delusi tornarono a pescare. Quale fu il loro stupore nel ritrovare la statua su un albero nel punto esatto in cui oggi sorge il suo santuario possiamo immaginarlo, nella logica della leggenda. La Madonna, aveva scelto il suo posto sulla riva del Lago di Paola
Santuario "Madonna della Sorresca"
Della bella leggenda abbiamo un dato certamente vero: nel lago si è sempre pescato. Il pesce c’era prima dell’antico santuario della venerata Madonna. Questo è importante perché nella prima sentenza della Corte di Cassazione del 27 febbraio del 1958, Alfredo Scalfati che perorava la causa della sua famiglia, aveva dimostrato che il pesce che stava nel lago all’epoca “non era un prodotto delle acque sibbene quello di una vera e propria industria con pratiche ed attrezzature speciali”. Insomma, il pesce che sta dentro il lago dovrebbe essere suo. Abbiamo visto però che, a quanto pare, perfino le leggende secolari affermerebbero la presenza del pesce nel lago. Ai tempi della sentenza, c’erano 5 motivi per cui un bene privato come un lago potesse essere iscritto d’ufficio nel registro delle acque pubbliche: Il fatto che l’acqua fosse potabile (ma il lago è salato), l’uso agricolo (ma non è così per lo stesso motivo, l’acqua salata), l’uso idroelettrico (ma l’acqua è ferma) e la costruzione di un porto sul quale il lago è tutelato. Il quinto motivo è “la pesca”. Se il pesce c’è ed è naturale, allora è un bene di tutti e tutti possono pescarlo. Il pesce nel lago pare ci sia da un bel po’ prima dell’inizio della polemica quotidiana e, a quanto pare, ci sarà ancora per molto. 

La risposta alla nostra domanda iniziale rimane sempre la stessa, il Lago di Paola è, per legge, della famiglia Scalfati. Eppure, pur con questa premessa un motto ingenuo ci spinge a farci comunque la domanda: se l’acqua è ossigenata con una pompa che è di tutti, e molti dei costi della manutenzione li paga la comunità quindi li pagano tutti e il pesce stesso, presente nel lago sarebbe un bene di tutti, allora viene spontaneo farsi sempre la stessa domanda: 

Di chi è il Lago di Paola?

sabato 5 settembre 2015

Paolo Galante: un "compagno nero" per il Pd



Il possibile candidato del Pd Paolo Galante


Paolo Galante, classe 1959, è sposato ed ha tre figli. Il periodo caldo del suo curriculum si snoda a cavallo tra gli anni ottanta la prima metà degli anni duemila. Anni in cui viaggia molto, chiude contratti ad alto livello, seguendo l’estro creativo del fratello Maurizio Galante, stilista di discretissimo successo internazionale che infatti si affaccia negli Stati Uniti e in Asia, soprattutto nell’ambitissimo mercato giapponese. In quegli stessi anni sarà consulente per l’Enea, cede le proprie quote della società di alta moda ad una agenzia di trading giapponese e so riconverte come imprenditore nel settore alberghiero. Nel 2004, infatti, compie il suo capolavoro imprenditoriale o almeno, per il quale è noto ai più nel territorio pontino, ovvero la trasformazione di una stazione di posta del 1700 in un resort a quattro stelle con eliporto, spa e piscina: il notissimo “Foro Appio”, con due ristoranti e 89 posti letto. In seguito viene nominato nel consiglio di amministrazione di “ItalyHotels” nel 2009, presidente di Federalberghi nel 2010 e consigliere Confcommercio nel 2013. Da marzo di quest'anno è anche presidente di Ascom Confcommercio, nel posto che, storicamente, aveva occupato per molto tempo Italo Di Cocco. L’ultima “chiamata” però, appare molto importante, anche se più di una nomina appare una folgorazione nello stile del santo – e forse non a caso Galante di nome fa Paolo – perché a giudicare da fuori, quella di Galante è una vera conversione, seppure con tempi molto più lunghi di quelli dovuto ad un lampo divino. Fin da giovane, Galante era capace di difendere le sue idee politiche in maniera piuttosto energica, tanto da apparire schierato su posizioni extraparlamentari perfino avendo in simpatia l’Msi e la destra sociale. Ma quando entra in un partito, Galante lo fa con serietà, dedizione e moderazione. Alcuni suoi “compagni” di An lo descrivono come uno dal carattere apparentemente spigoloso, litigioso, a tratti difficile. “Ma dietro quella ruvidità d’animo c’è una persona molto sensibile e disponibile”, come dice chi militava con lui in An. Perché di Alleanza Nazione, Galante è stato un vero e proprio quadro, almeno a giudicare da quello che ci racconta Giuseppe Mochi, che di An è stato coordinatore provinciale e che ha avuto modo di collaborare con Galante – anche se nessuno riesce a mettersi d’accordo se la sua delega in segreteria riguardasse l’economia, e Galante si è laureato in Economia e Commercio negli anni 80, oppure nel turismo, che è il suo attuale settore di competenza – trovandolo una persona “molto partecipativa nelle riunioni di partito. Non uno fissato con la politica – ammette Mochi – ma nemmeno uno sprovveduto, anzi”. Comunque, Galante in politica a livello elettivo non sembra essere mai entrato, mentre ha intrecciato buoni rapporti sia con la destra che con la sinistra, anche perché al “Foro Appio” si sono tenute importanti riunioni politiche di tutti i partiti, tra Udc, Forza Italia, An o Partito democratico. Insomma, un foro ecumenico per Galante che sembra piacere a destra, capace di riunire la simpatia di coloro che ne hanno accompagnato ai suoi tempi la sorte. E si parla dei vari Zaccheo, De Monaco, Calandrini e tutti gli altri che, insieme a lui, seppure marginalmente, hanno condiviso un tratto di strada. Ma ora Galante entra dalla porta principale, ad un passo dalla politica che conta, pronto a contendersi niente di meno che un posto da sindaco. E lo fa dall'altra parte della barricata, folgorato sulla via che conduce a Moscardelli, ammiccando all'amico Enrico Forte e dimostrando che non è mai troppo tardi per passare da destra a sinistra. Del resto, la folgorazione, quando arriva arriva. 

venerdì 4 settembre 2015

Migranti: miseria e ignobiltà (occidentali)



Secondo la stampa nazionale, questa sarebbe la città di Alyan

Non pubblico la foto del bimbo annegato. Pubblico quella che si dice sia la sua città (non ho modo di verificare se sia vero oppure no, ma di certo è realistico). Si dice "aiutiamoli a casa loro", ma non si dice come. E soprattutto, in quale casa? Se ne trovate una in piedi fatemelo sapere. La diversità è una cosa brutta, difficile da gestire, pericolosa. Ma è anche una grande opportunità. Spesso si fa l'esempio dell'Australia come modello da seguire anche per l'Italia. Certo, l'Australia è un tantinello diversa dal nostro paese, ma questo non conta per il Salvini di turno. Aiutarli a casa loro, si dice. Ma quando in casa tua c'è la guerra (e gli italiani, specialmente quelli che ancora difendono il diritto di fare il saluto fascista lo dovrebbero sapere bene) è un po' difficile restare a casa, specialmente se tende ad esplodere. E' un vero peccato che il nostro grado di inciviltà sia stato superato nell'est Europa, dove più di recente l'evento della guerra ha scosso i confini, ha fatto sentire il rombo delle bombe e ci ha riportato alla memoria le immagini di pezzi umani sparsi un una buca fumante che una volta era un mercato. Non so, non credo che esistano ricette magiche, facili o prive di difficoltà. So che ci sono spacciatori di idiozie che sono convinti che la storia sia come un cancello, che basta chiudere e siamo tranquilli. Che vorrebbero solo laureati, benestanti e già con il contratto di lavoro in tasca nel nostro paese. Ma quelli hanno già un nome, si chiamano "turisti" e pure con quelli - viste le pessime strutture ricettive, per esempio nella Capitale d'Italia Roma - non li trattiamo nemmeno tanto bene, e ci siamo fatti battere dalla prima Londra che passava. Esempi di idiozia al potere, nelle chiacchiere della politica. Sommersi dalle macerie di una città dal nome troppo difficile e lontano per essere ricordato. Adagiati in spiaggia, cullato dalle onde come quel povero bimbo di cui tutti parlano. Come la vergogna che si abbatte su chi proprio non vuole capire che la storia non può tornare indietro e che segue percorsi a volte funesti, che passano sul destino di tutti noi. Siamo noi quelli fortunati ma insistiamo a volerci mettere nei panni delle vittime. E' tutto molto triste.