martedì 29 dicembre 2015

L'antro del buco di Latina




Questo è un luogo di dolore. Ci troviamo in un sottopasso che conduce ad un parcheggio sotterraneo nel grande palazzo giusto dall’altra parte della strada, di fronte al distributore di servizio nel grande piazzale delle autolinee nuove. In questo stabile hanno sede alcuni uffici della Regione Lazio, un sindacato (la Uil) e da questa estate è anche la sede provinciale del Partito democratico. Ma basta uscire dal grande sguardo della strada, imboccando il sottopasso per avere un posto sicuro e al riparo dove bucarsi. Le chiazze di sangue, gli aghi a terra, le centinaia di siringhe buttate come cicche di sigarette nei tombini. Qui ci si droga faccia al muro, scaldando la roba con un cucchiaino bruciato. Aprendo in fretta le scatole delle siringhe. Lo sanno bene gli assistenti dell’associazione “Il Frantoio” che invitano a contattare la loro unità mobile che è in grado di lenire le sofferenze di questi poveri diavoli che si infilano in questo cunicolo a sanguinare, a perdersi e a morire. “Abbiamo pulito questo posto una settimana fa” si legge nel cartello “contattate la nostra unità mobile”. Ma anche loro lo sanno bene che quando si entra in questo antro decadente, quello della droga e dell’eroina, non se ne esce con gli avvisi. Nella totale indifferenza di tutti, sempre più gente ha identificato questo luogo come buono per bucarsi. E a poco servono gli esposti mandati dagli operatori dei vicini uffici. Non è intervenuto nessuno, perché i drogati fanno notizia solo quando muoiono giovani, come è successo questa estate e come continua a succedere. Solo quando si possono scrivere due belle parole, quando c’è una morale da trovare e una facile lezione da impartire la droga può fare notizia. Non nell’antro del buco, tra sangue e siringhe infette. Eppure sono proprio sotto le nostre finestre. Quelle dei nostri uffici e delle nostre case. E a poco serve poi domandarsi perché.
Qui nessuno si fa domande sul domani. Qui ci si droga faccia al muro. Questo è un luogo di dolore.


giovedì 17 dicembre 2015

Ninfa, il paradiso minacciato dalle cave?

   


Certo a ben guardare
si comprende come mai
è tutto così molle
silente
come sia delicato
e implume
lingua di bambino
contro il tuono
a ben guardare
ti aspetti un sussulto
vortice che
mulini idee
e le espande
ben oltre la mente
un nulla
tranne lo scorrere del fiume
("Lungo il fiume Ninfa", Sergio Ban)



Campionamento a San Puto
http://geologilazio.it/ordine/000762/
Il-Prof-Paolo-Bono-e-venuto-a-mancare
Il professor Paolo Bono, è stato uno stimatissimo scienziato scomparso pochi anni fa che ha dedicato una vita allo studio sugli assetti idrogeologici dei nostri suoli ed ha lavorato in tutto il mondo. Apprezzato e molto ascoltato in Regione, il professor Bono ha contribuito a stilare tutte le più aggiornate mappature utilizzate dall’ente per decidere dove vanno posizionate le aree di vincolo idrogeologico, ovvero, dove è conveniente scavare e dove no. Perché c’è una forte correlazione tra cielo, terra e acqua nel nostro ecosistema e alla quantità di piogge che cadono ogni anno, vanno aggiunti i terreni su cui queste piogge cadono, dove vengono convogliate e che utilizzo naturale o artificiale se ne può fare. 

I flussi di falda visti dall'alto 

Ninfa è in pericolo? Lo dicono i numeri

I vincoli idrogeologici 
Secondo parte di questi studi, tutta l’acqua che drena tra la roccia dei Monti Lepini viene a confluire in un singolo punto o quasi. Là dove oggi sorge uno dei giardini naturali con stagni, ruscelli e vegetazione tra i più belli al mondo; il paradiso dei Giardini di Ninfa. Ma questa oasi naturale, questo ecosistema perfetto e meraviglioso è anche molto fragile, e tra un decennio potrebbe subire forti cambiamenti, se non sparire del tutto. Quello che si legge nei numeri e nei dati, nelle tracce scavate dall’acqua nelle maestose montagne è la storia della paziente opera della natura in tutta la sua complessità e in tutta la sua fragilità. Scavare buchi nelle montagne, non è senza conseguenze. 

L’acqua termale che viene dalle montagne


Per capire quanto potrebbe essere importante salvaguardare l’area dei Monti Lepini dobbiamo andare con la mente a circa venti chilometri a valle dai piedi del monte, là dove la terra sta per abbracciare l’immenso mare all’orizzonte. Siamo nei pressi di Fogliano, dove molti decenni fa, ormai, si prese definitiva consapevolezza di un fatto: la presenza dell’acqua termale. Tra i vari campionamenti effettuati agli albori dell’opera che poi non sarebbe mai partita (quella delle terme di Fogliano) si scoprì che nell’acqua sulfurea c’erano anche molti elementi che non pervenivano dal fondo della terra, ma dalle venature di roccia dei monti Lepini. Spinta dalla gravità, l’acqua attraversa la grande valle con
il suo fondale molle, argilloso ed impermeabile che ha generato, non a caso, la palude pontina. In questo suo percorso, dal basso, l’acqua fredda e purificata dei monti incontra quella calda e ricca di quelle proprietà naturali che l’hanno resa uno strumento di terapia in tutto il mondo. Quindi, l’acqua dei monti attraversa, come in un getto di pressione dovuto alla pendenza, tutto il sottosuolo per poi essere intercettabile a valle, ad un passo dal mare, sotto forma di acqua termale.
Modello (non in scala) del sistema tra Monti Lepini e Pianura pontina

Ai piedi dei monti si apre il paradiso di Ninfa


I Giardini di Ninfa 

Nel mezzo di questo percorso la palude; se si guarda dalle varie città dei Monti Lepini (da Cori per esempio) si rimane sbalorditi dal maestoso spettacolo generato dal poter abbracciare con lo sguardo tutta la valle pontina fino a dove l’occhio si perde. Questo perché la valle è letteralmente ai piedi di questa catena di monti rocciosi. E proprio all’imbocco di questa parete di roccia, sulle sue falde, sorge il giardino di Ninfa, da tutti riconosciuto come uno dei grandi monumenti naturali del nostro territorio. I dati fatti registrare dagli studi del professor Bono sono impressionanti. 

I numeri di un possibile disastro 

Ricostruzione dei siti più grandi presenti nell'area. In giallo quelli
pianificati o presenti nel Comune di Cori o limitrofi. In rosso gli altri siti attivi
Tra il 1928 e il 1980 le precipitazioni sono state di 948 mm mentre dall’81 al 2010 di 872mm. Questo dato di per sé ci dice che ha solo piovuto un po’ di meno, e non è grave, tanto che rappresenta una decrescita dell’8% del flusso di sorgente. Dal 1953 al 1976, però, il deflusso dell’acqua dai monti era di 2100 litri per secondo mentre è passato nei soli anni intercorsi tra il 1999 e il 2008 ad appena 1200 Litri/secondo, più di 900 litri/secondo persi di cui, solo il 18% è di origine naturale. Il resto è quello che si definisce un effetto “antropico”, vale a dire che lo abbiamo causato noi con attività note ed ignote. Appare lampante dalle carte della Regione, che le cave che si vogliono autorizzare siano in pieno vincolo idrogeologico, e questo è gravissimo, perché rischierebbero di compromettere il filtraggio dell’acqua che oggi affluisce alla falda contaminandola (ponendo fine alla vegetazione) e di abbassarne il livello in dispersione tanto da interromperne per sempre il flusso. I danni in termini di qualità delle acque a Ninfa, oltre che livello del flusso sono già ingenti e, da quel che dicono i geologi da noi consultati, anche irrimediabili. Tre cave in un prezioso e delicato fazzoletto di terra.
Tutto questo in un contesto dove piuttosto che bloccare l’attività estrattiva sembra si voglia aumentare. Non è un caso se l’acqua di montagna è più buona, ma è maggiormente filtrata nel suo viaggio verso la pianura dalle rocce stesse che la depurano. Forando la montagna si riduce drasticamente questa attività di filtro oltre a modificare pesantemente gli assetti idrogeologici.

E se il vero danno fosse la Eples?  

La cava della Eples vista da lontano
Le carte delle richieste di allargamenti della Eplse.
In verde, i vincoli idrogeologici dell'are
Se si guarda la cava in progetto nel comune di Cori, ci si renderà conto che, rispetto a quanto già scavato nella cava della Eples, e di quanto ancora si intende scavare nelle zone di allargamento, essa è minuscola. I numeri sono impressionanti, perché dalla cava della Picca Prefabbricati si potranno estrarre 400 mila metri cubi di materiale in dieci anni. La Eples potrà fare almeno dieci volte tanto. Allargandosi a dismisura in un sito che è già una immensa spaccatura nella montagna, visibile da chilometri di distanza, facendosi strada tra zone abboscate e andando ad abbracciare l’altra cava a soli trecento metri di distanza in linea d’aria e a soli due chilometri dalla Cava di Colle Medico a Rocca Massima. Il tutto ad un chilometro scarso dal centro di Cori, due chilometri dal monumento naturale di Giulianello e quello di Ninfa. Tre cave in uno spazio ristretto, delicato e prezioso. Non c’è abbastanza interesse sovracomunale per fare di quest’area un parco naturale protetto? Ne sa qualcosa Acqualatina che, su Ninfa, ha fatto uno degli stabilimenti di pompaggio più grandi della Regione che redistribuisce acqua a mezza provincia. La il Regio Decreto del ‘27, probabilmente, non aveva disposto vincoli idrogeologici a caso in queste montagne, e non per niente il professor Paolo Bono aveva passato anni a studiarlo e capirne le più intime dinamiche. 
Il rischio concreto di perdere uno (o più) dei nostri santuari naturali, di rimetterci in termini di salute e benessere, potrebbe esserci davvero. 

martedì 15 dicembre 2015

SuperTiero, un politico mille trattative





Là dove una trattativa politica è in corso


Là dove si decidono assetti territoriali o congiunturali vari ed eventuali 


Ovunque ci sia una riunione (fosse anche di condominio), appare un super eroe politico che ormai è una leggenda. 


E’ un aereo? Un missile? Un dirigibile? No signore e signori: è “Super Tiero”, dotato di poteri speciali e raggi fratonici, che si trasforma in un razzo missile. 


Dotato del dono dell’ubiquità, appoggiato dal suo fido apprendista (un po’ come Batman e Robin, anche questo super eroe ha un fiero alleato) Raimondo detto “Remo”, Enrico Tiero si insinua in tutte le discussioni politiche. Il Pd fa le primarie? Tiero vuole dire la sua e si mette tanto in mezzo che alla fine viene sospettato da entrambe le parti di aver sostenuto sia Forte che Galante
E infatti pare che il voto di Tiero, per effetto dei suoi super poteri speciali, valga sempre almeno doppio, quando non triplo o quadruplo con annesso avvitamento. Come Pippo Baudo afferma di possedere il potere di scoprire nuovi talenti politici (“Eleonora Della Penna, è una mia creatura, l’ho scoperta io!”). 

L’infaticabile rimastica strategie e le sparpaglia sul campo di battaglia come fossero noccioline. La sua strategia in battaglia è chiamata “carri armati del Duce”, perché i suoi voti, che sono sempre gli stessi, un po’ come i carri che facevano il giro della piazza in sfilata per sembrare di più si raddoppiano senza colpo ferire. I suoi sondaggi sono inappellabili: “siamo al 15% - dice una volta – stiamo al 7% - dice un’altra. Ma in realtà non conta, perché l’importante – è essere determinanti”. 

Ed è per questo che Tiero non perde mai una trattativa, perché sa che la minoranza, se ben compatta e sicura, può fare sempre la differenza quando i numeri sono cori. Capace di stare con il Pd in Provincia e con Di Giorgi in Comune, in pochi mesi aveva – come assessore ai trasporti – promesso di risolvere quasi tutti i problemi di questo paese e, se gli avanzava tempo, negli ultimi mesi dell’anno poteva anche mettere rimedio ai problemi climatici. “Faremo un consorzio di trasporto pubblico tutto nostro” aveva detto, e voleva mettere a sistema tutti i comuni limitrofi con Latina per creare una sorta di raggruppamento sovra-comunale che gli sarebbe fruttato molti consensi, qualora fosse riuscito. Litiga con Fazzone ma ci vuole discutere, dialoga con il Pd, strizza l’occhio ai grillini, non disdegna la destra ma c’è spazio anche per la sinistra. Forse nessuno lo ha avvisato della recente rifondazione di una cellula importantissima della Democrazia Cristiana (alcuni dei presenti alla conferenza stampa di inaugurazione erano ancora al di sotto dei 65 anni, miracolosamente) perché altrimenti Tiero avrebbe certamente voluto comprendere le dinamiche del tavolo con il piccolo pescolino politico perché, non si sa mai, che mi diventi una balena bianca. Insomma, Tiero è tutto e il contrario di tutto e state attenti voi ad organizzare una qualsivoglia riunione. Potrebbe anche darsi che Tiero è nel tavolo delle trattative e voi non ve ne siete nemmeno accorti. 

giovedì 3 dicembre 2015

Se sparisce la Padania...



Questa è una immagine che gli scienziati sembra reputino credibile del nostro futuro. Una cartina disegnata dal graphic designer slovacco Jay Simons, celebre per le sue mappe realizzate usando Photoshop, che da corpo alla fosca prospettiva descritta nella teoria del riscaldamento globale.

Se il mare divora la Padania e l'Italia

Il Colosseo di Roma allagato
Un futuro apocalittico e decisamente poco auspicabile nel quale gran parte della odierna "Padania" viene sommersa dal mare per via dell'innalzamento delle temperature e il conseguente scioglimento dei ghiacciai. Questo significa che, probabilmente (ma speriamo di no) gran parte dei leghisti sono genitori e nonni di una generazione di futuri migranti che dovranno gioco forza andarsene dalla loro terra. E chissà quanto e come saranno bene accetti. 

"Aiutiamoli a casa loro, compriamogli delle barche"

E chissà come verrebbero visti o giudicati. Speriamo che, nel caso questo disastro si dovesse verificare (e in effetti questi inverni sembrano sempre più caldi), i figli e i nipoti degli odierni padani troveranno un mondo dove non ci saranno persone come alcuni dei loro politici oggi fanno, capaci solo di sfruttare, denigrare e minimizzare la loro tragedia. Speriamo che non ci siano persone che dicono "aiutiamoli a casa loro, magari comprandogli delle case galleggianti" o altre cretinerie di stampo salviniano.

Un mondo migliore 

Speriamo che sia un mondo più pronto, più giusto, più maturo quello che potrebbe vedere questi colossali spostamenti. Ma speriamo anche che questo scenario, in qualche modo, si possa scongiurare, affinché meravigliose città rigonfie di storia non diventino moderne Atlantide perdute. E speriamo che un simile rischio, in un momento terribile come questo, sia capace di unire un po' tutti noi, abitanti dello stesso pianeta azzurro, saturo di brillanti bellezze e di fuggevoli fortune.

domenica 29 novembre 2015

Renato Maffia Vs disattenta Barbara D'Urso



Un frame della trasmissione di Canale 5
A livello comunicativo, per Renato Maffia, la trasmissione “Pomeriggio 5” è stata una scivolata molto insidiosa. Il padre del piccolo Emilio Maffia, il bambino di madre filippina bloccato per un intoppo burocratico in quel lontano paese sta lottando da mesi per cercare di portare il bambino a Latina ma la battaglia è molto complicata, per motivi di burocrazia internazionale e più di qualche stranezza da parte dell’ambasciata italiana a Manila. Delle vicissitudini di salute (il bambino è nato cardiopatico) e burocratici del bimbo di quindici mesi abbiamo spesso parlato. Ma Emilio Maffia lo scorso lunedì è stato ospite della trasmissione di Barbara D’Urso “Pomeriggio 5”, dove si supponeva che avrebbero dovuto aiutarlo. L’inizio del collegamento non prometteva bene, in quanto la conduttrice (che si occupa di molti casi tutti i giorni) non sembrava assolutamente al corrente della difficile situazione, ma fin da subito la D’Urso si è concentrata in maniera quasi morbosa e difficilmente comprensibile su un dettaglio: all’inizio del collegamento, il padre “sorrideva”. Fatto questo apparso fin da subito intollerabile per la D’Urso che pure metteva in conto la possibilità che il Maffia fosse visibilmente emozionato nel dover parlare davanti a milioni di telespettatori. Quando inizia il collegamento si sente la troupe che avvisa Renato Maffia di essere in diretta, lui fa un
accenno ad un timido sorriso Barba D’Urso lo incalza: “Vedo che sorridi Renato, hai delle novità buone da raccontarci?”. Ma il Maffia non ha nessuna buona notizia, anzi, le notizie sono pessime. Il Comune di Latina ha respinto ufficialmente la sua richiesta di trascrizione di cittadinanza e quindi Emilio non può fare il passaporto per espatriare. E questo è un male, perché in un paese dove la sanità è a
pagamento, un bambino nelle condizioni di Emilio rischia di non poter ricevere le adeguate cure mediche. Per questo motivo Renato vive in un box auto, mangia alla Caritas e manda tutto quello che guadagna per il sostentamento del bambino. Ma questo alla D’Urso non sembra interessare molto, e davanti ad alcune di queste spiegazioni non ha di meglio da dire che “se io fossi il papà di quel bambino sarei molto più triste, non sorriderei, ma forse sei emozionato” e poi domanda “ma com’è la situazione, il bambino deve essere operato?” non sapendo che Emilio è già stato operato, grazie all’attenzione di un’altra trasmissione Mediaset (Le Iene) e una Onlus che ha raccolto i soldi (25 mila euro) per l’intervento. Infatti Maffia cerca di rendere la cosa simpatica e dice “in un certo senso mio figlio è anche figlio di Mediaset, perché la vostra azienda gli ha salvato la vita. Sarebbe morto senza di voi”. La D’Urso, abituata a ben altre brutture nel suo programma risponde “detta così fa un po’ impressione”. Fine del collegamento e tanti saluti.
Il piccolo Emilio nelle Filippine quando
aveva meno di un anno
Dopo la diretta Renato si è anche sentito rinfacciare da alcuni cittadini che hanno seguito la sua vicenda il fatto che non sarebbe vero, come ha asserito che non ha una casa visto che il collegamento era ambientato in un bellissimo salotto con tanto di camino e bandiera filippina sullo sfondo. Tanto che invece di un collegamento con un caso umano sembrava un messaggio natalizio presidenziale o uno special di Natale della Fox. Ma la casa non era di Renato, naturalmente, ma della giornalista Bianca Francavilla, che l’aveva messa a disposizione per l’occasione. Insomma, tra la conduttrice (che comunque non aveva bisogno di presentazione e per la quale non risultano menzioni per il Pulitzer), l’ambiente principesco e la pessima riuscita del collegamento, quello di “Pomeriggio 5” è stato un bruttissimo quarto d’ora per Renato. Ma va peggio a suo figlio nelle Filippine, rientrato ieri in ospedale per problemi respiratori dovuti alle diverse terapie contrastanti tra cuore e polmoni. E in questo balletto continua a rimanere la domanda: di chi sarà la colpa se questo cittadino metà filippino e metà italiano dovesse morire dentro una baracca di legno e lamiera nelle Filippine invece di ricevere cure mediche gratuite e di qualità in Italia?

venerdì 27 novembre 2015

Calandrini, la "bella statuina" che studia da sindaco



Prendiamo lo Statuto del Comune di Latina, che è un po’ la Costituzione di una città. Titolo quarto, capo primo e secondo, articoli 66 e 67.

I consigli immortali

Si parla di decentramento amministrativo e di circoscrizioni. Si legge: “i Consigli di Circoscrizione sono Organi rappresentativi delle esigenze della comunità della Circoscrizione nell’ambito dell’unità del Comune”. Molti se li ricordano con affetto i cari, vecchi, consigli di circoscrizione, vera palestra politica per i giovani, capace di raccogliere le istanze dei territori come nessun altro organo. Peccato che, per i comuni al di sotto dei 250 mila abitanti, siano stati aboliti nel 2011, per cui, non si capisce come mai siano ancora descritte nello Statuto cittadino.

Non è una città per giovani

Nicola Calandrini 
Continuando a scorrere ci si trova davanti all’articolo 77 bis: “consiglio comunale dei ragazzi”. A “scopo di favorire la partecipazione dei ragazzi e delle ragazze” lo Statuto prevedeva un consiglio comunale con tanto di liste, voti e proposte da portare al consiglio comunale dei senior. Lo strumento appariva forse troppo simile al consiglio dei “grandi” ed è stato luogo di militanza anche di alcuni giovani rampanti di destra e di sinistra. Ma oggi è stato completamente dimenticato, tranne che dallo Statuto. Ormai, i ragazzi che lo hanno composto saranno padri, alcuni addirittura nonni tra poco. Ma non si è deciso cosa farne di questo strumento che però resta lì, sulla carta.

Il difensore civico
che non c’è

E che dire della solenne istituzione – all’articolo 82 dello Statuto del Comune – della figura del “Difensore Civico”. Così si legge ancora nello Statuto: “È istituita la figura del Difensore Civico del Comune di Latina”. “Il Difensore Civico – recita lo Statuto al comma 2 dell’articolo 82 - è nominato dal Consiglio Comunale a maggioranza qualificata dei due terzi in prima votazione ed assoluta per la seconda, tra persone di comprovata capacità moralità e saggezza. Egli potrà promuovere ogni azione che riterrà utile, avvalendosi delle strutture comunali compresa l'avvocatura, volte a garantire la buona Amministrazione e la trasparenza degli atti”. Di questa figura a Latina non si è mai vista nemmeno l’ombra, né risulta se ne sia mai seriamente parlato.

Lo Statuto di cartaccia

Lo Statuto Comunale di Latina è tutto un susseguirsi di buone intenzioni mancate e di aggiornamenti clamorosamente omessi, come se la Carta non interessi proprio a nessuno. Ma a chi avrebbe dovuto molto interessare questo documento in tutti questi anni? Uno dei politici che più di ogni altro aveva responsabilità sullo Statuto Comunale è stato di certo Nicola Calandrini, ex presidente  del consiglio comunale nel secondo mandato Zaccheo e in quello di Giovanni Di Giorgi, ras di consensi a Latina Scalo e tra i consiglieri più votati dell’ultimo ventennio. Lui aveva un ruolo istituzionale doppio per vigilare sul comportamento (a volte davvero incredibile) dei consiglieri comunali in aula e nelle inutilissime commissioni consiliari, che spesso si riunivano a vuoto ma che facevano sprecare l’ira di dio in gettoni alle casse comunali (almeno 240 mila euro l’anno).

Il doppio ruolo sprecato

Ma Calandrini non è stato solo presidente del Consiglio Comunale, ma anche reggente di una commissione che si riuniva raramente e mai a vuoto (questo si può dire tranquillamente) come quella di Affari Istituzionali. Da questa commissione sono venute le uniche modifiche fatte recentemente nello Statuto in materia di referendum propositivi e sui lavori d’aula (istituendo finalmente il Question Time che in altri comuni a noi vicini c’è da decenni). Lungi dall’essere un grande successo, nemmeno questi piccoli passi avanti sono stati comunque tutta farina del sacco di Calandrini. Ci sono volute le firme e l’attenzione di comitati cittadini per far ottenere questo diritto (per ora solo virtuale) alla cittadinanza di Latina.

Regolamenti abbandonati

Si stenda, poi, un velo pietoso, sulla marea di regolamenti in blocco che non sono mai stati presentati, come quello sul commercio, quello sui campeggi, le antenne telefoniche, il piano del colore o addirittura il regolamento edilizio, che è stato messo in cantiere dal commissario Nardone e continuato (ma non si sa se sarà concluso) da Barbato. Quello di Calandrini era uno dei ruoli politicamente più importanti ed economicamente meglio retribuiti a cui si poteva ambire nel panorama della politica locale. Ma come presidente, in tutti questi anni, non ha mai fatto quasi nulla, e francamente si vede. Il viaggio nei borghi e nei quartieri di Calandrini in versione aspirante sindaco, quindi, assume un significato quasi incredibile e i cittadini, prima ancora di sapere quale “visione” ha Calandrini per il futuro della città, dovrebbero domandare cosa ha fatto in tutto questo tempo quando ha avuto in mano uno dei ruoli più importanti della politica cittadina. Non c’è bisogno di fare molte ipotesi, basta guardare lo Statuto per capire che questo votatissimo commercialista, nel suo ruolo, non ha fatto granché. Ma forse quasi un decennio di potere non bastava, aveva bisogno di più tempo.

giovedì 26 novembre 2015

Le "pazze" primarie del Pd di Latina (Video)




Il presidente di seggio alle primarie Pd del 22 novembre agita un documento
rotto in due che si pretendeva dovesse essere considerato valido

Sono le 20:30 circa al centro Arca Enel, di fianco alla chiesa di Santa Maria Goretti a Latina.


Non è un giorno qualsiasi ma è il 22 di novembre e si tengono le primarie del Pd, quelle di cui tutti parlano e che hanno visto l’uno contro l’altro il candidato moscardelliano Paolo Galante, manager del Foro Appio Hotel contro Enrico Forte, consigliere regionale e dirigente dem in provincia.
E’ una lotta tra due anime e per tutti i giorni precedenti hanno serpeggiato polemiche e sospetti e il clima è quanto mai caldo. Sono le 20:30 quando una signora di circa cinquant’anni si presenta al seggio accompagnata da Massimiliano Carnevale, figlio di Aristide che è stato un silenziosissimo consigliere comunale della giunta Di Giorgi per il Pd e, come il figlio, ha un passato democristiano (proprio come Forte). Ma sostiene Galante e in quel momento, di voti ce ne sono tre in ballo, madre e due figli.
Carnevale fa avanti e indietro dall’esterno della sala fino alle urne, si prodiga per tutti, documenti alla mano indica. Più solerte di lui solo Valentina Pappacena, attivista moscardelliana (oggi ritirata dalla politica) che, taccuino alla mano e telefono sempre acceso, macinano voti e persone che portano direttamente all’urna.
 Le carte d’identità volano, passano di mano, qualche breve istruzione e poi via, il gioco è fatto. Insieme il loro impegno congiunto peserà e molto. Si batteranno su ogni singolo voto e alla fine, c’è chi dice che abbiano portato diverse centinaia di voti a favore di Galante.

“Io so il numero preciso dei miei votanti, miei personali, per mio impegno”
rivela la Pappacena su Facebook.
E sapere esattamente quanti hanno votato come gli è stato detto è frutto di un lavoro certosino fatto di telefonate, di impegni, di segnalazioni e solerzia.Tutto procede bene, tutti votano e il clima per Galante è elettrico. Ad un certo punto: il dramma. Un giovanotto non può votare.  Il suo documento è ridotto a brandelli, ma Carnevale non ci sta. Protesta contro chi sta al seggio “ma come no, guardi, il documento è diviso a metà ma si capisce, mi sembra assurdo” dice. Dopo aver fatto un paio di volte avanti e indietro alla fine interviene il presidente del seggio, una signora con un maglione rosso e con poca voglia di discutere. “Senta – gli dice – lei è qui dalle otto del mattino che insiste. Ma non possiamo accettarlo un documento in questo stato”  afferma ad alta voce sventolando un pezzo della carta d’identità nella mano destra e l’altra nella mano sinistra a dimostrazione che non si tiene per niente insieme.  Al seggio arrivano in blocco Paolo Galante (il signor candidato), il senatore Claudio Moscardelli, un paio di gregari e qualche curioso. “Non c’è bisogno di alzare la voce – dice Moscardelli – stiamo calmi”. “Senti Claudio – gli dice la signora – il fatto che ti metta in mezzo in una cosa del genere mi sembra davvero…lasciamo stare va”.
E poi si rivolge a tutti “io sono per la legalità, chiaro?”. Il senatore Moscardelli si schernisce: “sì, ma non la usiamo a sproposito questa parola – avverte – altrimenti mi agito anche io, stiamo calmi”.
Vi da fastidio che vogliamo far valere il diritto di voto di tutti quanti?” dice l’infaticabile Carnevale che poi si defila. Un ragazzo con la tuta ha portato dello scotch da pacchi trasparente e i due cercano di rimettere il disgraziato documento del giovane insieme, il tutto davanti ai seggi del voto.
Moscardelli capisce che stanno dando spettacolo e allora si avvicina e gli dice di smetterla “ma scusa, abbi pazienza” insiste Carnevale. Ma anche il ragazzo con il nastro isolante capisce che è troppo, prende i pezzi del documento e si defila rapidamente.
 E il dramma alla fine si è consumato, l’elettore, che sicuramente non vedeva l’ora di esercitare a pieno il suo diritto di voto, non ha più potuto votare, ma fortunatamente i suoi congiunti sì.
La democrazia, in fondo, vince sempre.

venerdì 20 novembre 2015

Non deridete il "cane eroe" simbolo di speranza

I simboli sono importanti. Lo sanno bene quelli dell'Isis, che hanno messo in fila una serie di macabri esperimenti di morte dove le più assurde fantasie vengono messe in scena. 

Un set hollywoodiano di sangue e terrore

Immagini delle esecuzioni dell'Isis
Quante volte ci siamo domandati, nel nostro intimo come deve essere terribile morire annegati dentro una gabbia; come deve essere venire bruciati vivi, colpiti da un razzo dentro un'autovettura, decapitati da un'esplosione. Sono incubi da svegli, paure ataviche che prima o poi toccano i nostri pensieri. Chiunque sia dietro a questa organizzazione lo sa, e di fatto interpreta nella maniera più orrenda e cinematografica il paesaggio della punizione Divina. Lo fa con un linguaggio che noi possiamo comprendere e temere. Cerca di
spaventarci.
La famosa foto dell'uomo che
non fa il saluto nazista

Le folle che tolgono la speranza

Adunata nazista
I simboli sono importanti perché possono togliere la speranza, come sapevano bene i nazisti che nelle loro oceaniche adunate facevano sventolare giganteschi vessilli e radunavano tutti in cerchio intorno al capo, attaccati gli uni agli altri. E costringeva la gente ad un saluto
particolare che legasse tutti i presenti a quel destino come una promessa. Sapevano, i nazisti, che il popolo tedesco non giura invano. Sapevano che appartenere a qualcosa è importante. Questo è tanto vero che quel giorno in cui una persona, per un motivo o per l'altro, non ha salutato in mezzo a tutta la massa di braccia tese è passato alla storia. Anche quello era un simbolo, il simbolo di un saluto mancato, tra la folla della schiacciante maggioranza.
Una piazza di "Littoria" oggi Latina

le piazze del regime

Lo sapevano gli architetti e gli ingegneri del regime che le piazze dovevano essere ampie e dovevano costringere le persone a passare in mezzo, senza rifugi ai lati, con i palazzi del governo che, immanenti,
sembravano vedere tutto. I simboli tolgono l'aria, annientano il pensiero, sono capaci di cancellare o aumentare la paura in maniera esponenziale.

Simboli di speranza

Ma danno anche speranza, e sono in grado di farci capire che c'è qualcosa che va più in là di noi, per cui vale la pena combattere. Per questo mi dispiaccio che si derida il "cane eroe", il pastore tedesco ucciso nella sparatoria di St.Denis. Perché quel cane, anche se è "solo un cane" è anche un simbolo. Le deviazioni
Il cane Diesel
animaliste e le esagerazioni non posso consentire a qualcuno di dire che "si piange più per il cane che per le vittime". Il cane è un simbolo di quel coraggio battagliero e disinteressato, senza timore e senza coscienza. "L'amore per gli animali e l'odio persone sono una pessima combinazione" diceva Konrad Lorenz, e aveva ragione. Per cui, ci saranno sempre sciocchezze di riserva per coloro che hanno voglia di spararle. Ma non si può sottovalutare il valore simbolico di un cane eroe.
Il corpo imbalsamato di "Cher Amì" 

Cher Amì non è "solo un piccione"


Nell'ottobre del 1918, si decideva la sorte della 77esima divisione (detta anche "la Divisione perduta") dell'esercito americano impegnata nella battaglia delle Argonne, durante la prima guerra mondiale. Intrappolati dal semicerchio offensivo dell'esercito tedesco, con alle spalle una insormontabile depressione rocciosa e sotto il tiro di artiglieria degli stessi alleati che ignoravano la loro posizione. Una situazione che poteva rappresentare solo la morte o la prigionia per i soldati che la subivano. Cher Ami (caro amico in francese) era un piccione portamessaggi femmina in dotazione all'esercito. I soldati del 77esimo avevano già lanciato altri due sos ma entrambi i piccioni furono abbattuti. Restava solo lei, Cher Ami. "Ci troviamo lungo la strada parallela alle coordinate
276,4. La nostra stessa artiglieria sta effettuando uno sbarramento proprio sopra di noi. Per l'amor di Dio, fermatevi” questo era il messaggio. Cher Ami si alzò in volo tra il rombo delle bombe e il fischio dei proiettili che cercavano di centrarlo. E dopo aver schivati numerosi colpi venne ferita al petto, alla zampa e all’occhio. Nonostante le ferite, il piccione percorse le 25 miglia che la speravano dal quartier generale in soli 65 minuti. E il comando sposto il tiro, permettendo a poco meno di duecento uomini di salvarsi la vita. I medici militari fecero di tutto per salvare la vita all’animale e ci riuscirono. E nonostante fosse “solo un piccione” l’esercito americano conferì ugualmente la “croix de Guerre” per le dodici missioni concluse con successo e il numero di vite e di informazioni che aveva salvato e trasportato. Morì tra il cordoglio di tanti nel giugno del 1919 per le ferite riportate in battaglia che l’avevano irrimediabilmente minata. Era solo un piccione, è vero. E non aveva coscienza dell’importanza dei suoi gesti. Ma gli eroi, possono anche essere incoscienti.

I simboli sono ancora importanti

I simboli sono ancora importanti, anche per noi, se potete, non derideteli. E se proprio non riuscite a farne a meno pensate se voi sareste riusciti, con tutto il vostro sarcasmo e il vostro giudizio, a fare altrettanto. L’umiltà vi dovrebbe risorgere, anche di fronte ad un gesto di incosciente eroismo. 

mercoledì 18 novembre 2015

Come gatto e gatto: Forte e Moscardelli, storia di uno scontro


Enrico Forte e Claudio Moscardelli


Quale degli dei, li spinse alla disputa?(Iliade) 

Certo, lui parlava dei “migliori” tra i greci della leggenda. 
Qui si parla delle primarie del Pd di Latina, quindi è giusto fin da subito ridimensionare. 
Ma la domanda rimane, seppur ridimensionata: come hanno fatto le due principali anime del Pd pontino ad arrivare allo scontro diretto? Per molti osservatori era inevitabile...

Forte, nato come strumento di Moscardelli

Sin dal momento in cui Moscardelli decise di usare Enrico Forte come oppositore a quel tanto osteggiato Giorgio De Marchis per la carica di consigliere regionale qualcuno aveva profetizzato: “Non durerà il loro Idilio”. E in effetti, sembra che fin da quella campagna elettorale avvenuta ormai anni fa e nella quale prevalse Enrico Forte per soli 16 voti su De Marchis, già il seme dell’astio tra i due fosse stato seppellito, pronto a germogliare. Anni di piccole azioni di guerriglia, di sorrisi forzati, di occhiatacce, per arrivare ad uno scontro che rischia di spaccare in due il Pd  (l’unico partito attualmente in piedi non solo da noi, ma in tutto lo scenario nazionale). 

Gatti furiosi

La lite tra i due si  potrebbe paragonare a quella tra due gatti che litigano per strada. Sarà capitato a molti di vedere la scena: i due felini restano fronte a fronte a minacciarsi per lunghissimo tempo, a volte per ore. Nessuno dei due ha veramente voglia di attaccare, temendo di restare ferito. Ma nessuno dei due vuole voltarsi ed andarsene. I gatti lo sanno che se si voltano espongono ad un facile attacco il loro fianco e il ventre. Per questo motivo, nessuno dei due desiste, sebbene nessuno dei due voglia seriamente lottare. E forse è proprio così che è andata tra i due. Enrico Forte ha fatto vedere le sue carte a febbraio di quest’anno. Si è mostrato alla città portando il verbo della Regione su rifiuti e urbanistica, due temi caldissimi della nostra storia recente. 

Complicare la facile vittoria 

Due temi con i quali la giunta Di Giorgio di centrodestra ha combinato disastri: un gol a porta vuota. Forte si propone di segnarlo, ma il partito non lo segue, non si fida. Il caso del commissariamento di Priverno con la caduta del sindaco Angelo Delogu aumenta i sospetti su una possibile trattativa tra Forte e l’entourage moscardelliano, la tensione sale. E nonostante Enrico Forte nel proporsi non usi mai la frase “mi candido” si aspetta che la segreteria provinciale lo proponga. Ma La Penna and co. sono espressione pura di Moscardelli, ormai è conclamato. E nessuno si muove. Anzi spunta un nome, quello di Francesco Damiani, grande amico di Moscardelli. 

"L'insulto" di Moscardelli

Francesco Damiani 
“Lui sì che può fare il sindaco” dice Moscardelli preferendo il bancario al posto del consigliere regionale. Nel linguaggio della politica questo è chiaramente un insulto. Enrico Forte la prende male, e da che la sua presenza nel panorama pontino appariva quasi un modo per poter dire la sua su una possibile futura candidatura, decide di non demordere e resta al suo posto di candidato. “Forte non si candida davvero - dicevano in molti tra i moscardelliani - mollerà, fa sempre così”. Ma ormai sia Moscardelli che Forte sono l’uno di fronte all’altro. Entrambi logorati (Moscardelli di più, se non altro per anzianità al vertice del Pd), e con poca voglia di combattere. Moscardelli fa una mossa che dal suo punto di vista doveva essergli sembrato un vero e proprio ramoscello d’ulivo: candida Paolo galante, amico di Enrico Forte. “Sarà un candidato che Enrico non potrà rifiutare” dice Moscardelli. 
Paolo Galante 
E Forte glissa, fa buon viso a cattivo gioco. Ma ormai è andato troppo lontano, e se fa un passo indietro per un candidato oggettivamente deboluccio come Galante i suoi faranno a meno di lui. Forte rilancia, si mette di traverso pure contro Galante. Non hanno parlato la stessa lingua, non si sono capiti. 

L'insanabile frattura

E’ stata il dio Caos, il pallino della politica, la possibilità di segnare quel gol a porta vuota o il demone del rischio la divinità a mettere le due anime del Pd pontino l’una contro l’altra. Questo e molto altro ed ora solo una cosa è certa, chi perde, perde molto, forse tutto in questo confronto che è un incrocio tra una guerra e una partita di calcio. E, come diceva Churchill “gli italiani
perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio”. E questo non fa altro che complicare la situazione.

lunedì 2 novembre 2015

Il piccolo Emilio vs la burocrazia internazionale


Emilio Maffia con la mamma nelle filippine 


(Estratto da "Il Giornale di Latina" 1/11/2015)


Nonostante il padre Renato sia stato riconosciuto come tale appena sette giorni dopo la nascita del piccolo Emilio, il governo italiano, non ne vuole sapere di riconoscere Emilio Natad Maffia come cittadino italiano.

Il parere dell’ambasciata
italiana a Manila

I documento dell'ambasciata italiana a Manila
pubblicati in anteprima da "il Giornale di Latina"
 il primo di novembre
E in particolare, l’ambasciata italiana a Manila, sembra osteggiare questo ricongiungimento familiare. Se non altro perché alle pratiche giunte in Italia a marzo, l’ambasciatore (o chi per lui) ha fatto allegare una comunicazione che evidentemente ha lasciato molti dubbi agli uffici comunali, in quanto è da marzo che non rispondono alle richieste di Renato, se non con documentazione incompleta ed illegittima.
Una strana comunicazione
La lettera che l’ambasciata ha mandato al Comune di Latina, oltre che alla prefettura e al Ministero degli Esteri era riservata. Ma “Il Giornale di Latina” è riuscito comunque ad ottenerla e il contenuto di questa lettera è oltremodo sconcertante. L’ambasciata italiana a Manila, infatti, mette in guardia l’ufficio di Stato Civile che il 2 marzo di quest’anno si ritrovava questa lettera sulla scrivania e che avrebbe potuto dover affrontare la richiesta di Renato Maffia di iscrivere il figlio nel suddetto ufficio.

“Documenti filippini
inaffidabili”

“Il riconoscimento e la contestuale richiesta di cittadinanza sarebbero dettate da ragioni mediche – spiega la lettera che poi prosegue – non è sufficiente rispetto a tal fine, la dichiarazione dell’evento resa alle autorità filippine, che usano rilasciare i relativi certificati unicamente sulla base delle semplici dichiarazioni rese dall’informante, in questo caso la madre stessa”. Ovvero, non bastano le dichiarazioni della madre e di colui che si presenta come tale, secondo l’ambasciata italiana. Anche perché “premesso che la Sede opera in un Paese notoriamente esposto a rischi di sensibile natura e ad una diffusa circolazione di documenti inattendibili, si è provveduto ad effettuare accertamenti del caso”. Insomma, i documenti, nonostante siano stati riconosciuti anche dall’ambasciata filippina in Italia, potrebbero non essere affidabili.

“Le difficoltà della legge
filippina”

Inoltre, l’ambasciata italiana a Manila ci tiene a sottolineare un altro profilo di criticità: la legge filippina. La signora Annaliza, infatti, è già coniugata e nelle filippine non c’è una legge per il divorzio. Il signor Hedgar Hontucan Go è il marito di Annaliza. Ma lei non lo vede da ben 12 anni. Nel frattempo ha avuto un’altra figlia in una precedente relazione ed ora ha il piccolo Emilio. “Affinché il Maffia possa riconoscere il figlio che afferma essere suo, sarà necessario un atto di disconoscimento del signor Go” anche perché “altrimenti sia il signor Maffia che la signora Natad si troverebbero esposti ad un procedimento penale per adulterio”. Insomma, l’ambasciata italiana ragiona con le leggi filippine ma non ne riconosce gli atti.

Quel piantagrane di Maffia

Alla fine, la lettera prende anche una piega molto bizzarra, quando l’ambasciata scrive al Comune di Latina che “il rilievo che si è cercato di dare alla vicenda appare piuttosto immotivato, del resto, non può non rilevarsi che il signor Maffia appaia in ogni caso incline a dare il massimo risalto possibile ad avvenimento che lo riguardano, come mostra qualche articolo di stampa su una vicenda concernente la mancata assegnazione di un alloggio popolare per il quale Maffia si sarebbe incatenato presso i locali della Procura di Latina”. Insomma, Renato è uno che fa un po’ di sceneggiate quando si tratta di questioni come casa e famiglia. E del resto, la casa popolare – a sentire lui – l’avrebbe ottenuta.

L’ambasciata invitata alla prudenza. Ma chi è il
responsabile della salute del bambino? 

L’ambasciata italiana nelle filippine conclude raccomandando prudenza per non generare “situazioni che in prospettiva possono creare problemi di ordine pubblico”. Da marzo di quest’anno, il Comune di Latina è a conoscenza di questa situazione. Ed è sempre da marzo che, in assenza di una risposta, sul Comune di Latina e sul commissario Barbato (che aveva promesso che mai e poi mai avrebbe fatto uscire dagli uffici da lui diretti atti illegittimi) grava la responsabilità sul bambino in precarie condizioni di vivibilità. Perché cosa accadrebbe se le condizioni  del piccolo si dovessero aggravare? O se peggio, dovesse morire? Di chi sarà la responsabilità allora?

La battaglia per Emilio

Dalla pagina Facebook dell'imprenditore Berardi
Un momento dell'incontro di sabato
per aiutare il piccolo Emilio Maffia
Per sempre più persone, la vicenda del piccolo Emilio Maffia, il bimbo cardiopatico di quattordici mesi prigioniero della burocrazia nelle Filippine non ha più bisogno di presentazioni. L’associazione Aps insieme ai responsabili della pagina Facebook “Breaking News Latina” (che in genere è un sito satirico che parla dell’attualità locale ma che ha preso a cuore la vicenda) hanno congiuntamente organizzato un incontro per trovare il modo di aiutare Emilio Maffia e suo padre, il cittadino di Latina Renato Maffia, che sta affrontando molte difficoltà per pagare le visite settimanali, i farmaci e il sostentamento del figlio nelle Filippine (paese dal quale per via di un cavillo burocratico non può espatriare e dove il servizio sanitario è completamente a pagamento). Alla riunione erano presenti esponenti della società civile, legali e rappresentanti di associazioni di consumatori (che hanno annunciato la messa in mora del Comune per le lungaggini e le illegittime risposte date al padre in questi sei mesi di richieste), oltre ad esperti in materia di Stato Civile. E c’era, anche molto partecipativo, l’imprenditore Roberto Berardi che ha annunciato una battaglia senza quartiere per portare il bambino a casa. Ha già duramente attaccato l’ambasciatore italiano a Manila e il governo italiano. “Mi vengono i brividi a pensare che tutta questa situazione si è venuta a generare per via di una comunicazione dell’ambasciatore a Manila. Ne parleremo presto” ha detto Berardi. C’erano anche alcuni attori che si sono detti disponibili a replicare appositamente per una raccolta di fondi per Emilio alcuni dei loro spettacoli, mentre si preparano in collaborazione con la Croce Rossa Italina, dei salvadanai da distribuire in centro per aiutare il piccolo Emilio Maffia. Presto verrà aperta anche una sottoscrizione e molte forze pensanti si stanno radunando intorno al destino di questo piccolo cittadino italiano che la burocrazia italiana respinge. La battaglia, di fatto, sta per entrare nel vivo.

venerdì 30 ottobre 2015

La mafia degli onesti



Il 17 febbraio del 1992 veniva arrestato Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, un ospedale per anziani lombardo. Era stato colto in flagranza di reato mentre intascava una mazzetta e dal suo arresto scaturì la storica maxi-operazione nota a tutti con il nome di “Mani Pulite”. Leggenda vuole (ma l’interessato nega questa ricostruzione, tanto da aver fatto causa a chi l’ha divulgata in uno sceneggiato televisivo) che Chiesa, messo alle strette dagli inquirenti avrebbe gettato il contenuto di un’altra mazzetta da sette milioni di lire (circa 3.500 euro di oggi) nel water del suo ufficio, nel tentativo di disfarsi delle prove. Sempre secondo la narrazioni semi-leggendaria, il bagno si sarebbe intasato e un melodrammatico sgorgo di acqua e denaro (insieme ad altri immaginabili residuati) si sarebbe sparso per tutta il bagno. Iniziava così, nell’immaginario collettivo, con un fiume di acqua, soldi e scarti organici, la più grande e forse incompleta operazione di pulizia amministrativa della storia recente del nostro paese. L’interessato a dichiarato invece che quei soldi, erano al sicuro in un a sua borsa, dentro una busta anonima. Non sappiamo dove fossero i soldi delle tangenti di Mario Chiesa quel giorno. Ma oggi, dopo quell’inchiesta, sappiamo come circolavano le mazzette e i “premi produzione” degli illeciti amministrativi. Valigette, buste, plichi. C’era chi aveva i lingotti d’oro nascosti negli armadi, chi confessava di conti correnti esteri ai carabinieri direttamente dal citofono di casa, chi si costituiva per assunzioni truccate, favori e molto altro. Oggi si può tranquillamente affermare che, in generale, i fondi illeciti hanno fatto un altro giro. Dai presunti water intasati, le buste anonime, le borse e i passaggi di mano in luoghi affollati i soldi dei piccoli e grandi favori sono finiti direttamente nelle determine. In ambito generale, affidamenti illegittimi, appalti ritardatari, assegnazioni provvisorie, lavori infiniti, finanziamenti vari, sono la linfa vitale delle tangenti moderne. Eppure, i mezzi di controllo democratico non mancherebbero. A differenza degli anni novanta oggi internet e una generazione di lettori più attenti e “smart” potrebbero fare la differenza. Al cittadino può certamente appassionare il gioco della riprogettazione urbana. Di certo potrebbe avere idee intelligenti sui parcheggi, la ciclabilità, la frazione delle risorse turistiche e di tutto li scibile amministrativo. Di certo ha il diritto di pensare come se fosse “sindaco di se stesso”. Ma la priorità assoluta che il cittadino dovrebbe richiedere, ogniqualvolta si confronta con la macchina amministrativa, dovrebbe essere la chiarezza e la trasparenza. Perché mentre si discute degli affidamenti del verde, nella perfetta regolarità formale, appalti milionari scadono senza che nessuno (per negligenza o per dolo, e francamente non si sa cosa sia peggio) si premuri di rinnovarli. Si riaffidano lavori con costi esorbitanti, si fanno le fortune delle aziende, senza che quasi nessuno lo noti e senza comunque nessun clamore. La “mazzetta” ormai, sembra che abbia preso un’altra strada, e la mafia degli onesti ormai, è molto più grande e più forte di quanto non si possa immaginare. La trasparenza è la risposta. 

domenica 18 ottobre 2015

Il discorso del Questore: "non è finita qui"




Il Questore di Latina Giuseppe De Matteis (foto De Vitis)


"Buonasera, cittadini di Latina. Io non sono molto bravo con le parole quindi voglio soltanto dirvi tre cose: la prima è che io ho trent'anni di polizia. Ho iniziato da vicecommissario trent'anni fa e nella mia carriera ne ho viste parecchie. Ho avuto dei dolori e delle soddisfazioni. Ma questa sera per me è la più grande soddisfazione di questi trent'anni di lavoro. Grazie per quello che state facendo. Voglio dirvi un’altra cosa. Voi conoscete me, conoscete il dirigente della Squadra Mobile Tommaso Niglio. Conoscete gli uomini della Squadra mobili che da venti e più anni lavorano su questo territorio. E lo fanno con un senso del sacrificio veramente encomiabile. Qui ho conosciuto una squadra di poliziotti di quelli che si vedono nei film. E io li ho conosciuti qui, nella realtà. Gente che lavora senza orario, con grande sacrificio e fatica. Gente che rinuncia alla famiglia, che rischia la pelle tutti i giorni ed è a loro che dobbiamo il nostro primo ringraziamento. Perché fanno davvero la differenza e ci fanno sentire orgogliosi di appartenere a questo stato. La terza cosa che voglio dirvi è che noi qui non abbiamo scoperto nulla che voi cittadini non sapevate. Abbiamo però messo le mani su una situazione che era un cancro per questa città. E vi devo chiedere scusa, sinceramente. Perché non ci siamo riusciti prima di oggi. Allora, con molto coraggio, io volevo ricordare che voi siete cittadini di questa città, siete cittadini di Latina. Siete figli e nipoti di una razza di uomini che dalla palude ha creato una città. Non è giusto, non è bello, non è tollerabile che qualcuno si sia impadronito di questa città e questa provincia. Allora, voi lo sapete, che ascoltando queste persone che abbiamo assicurato alla giustizia, ce n’erano alcuni che pensavano di essere i padroni di questa bellissima città. Ma i padroni siamo noi, siete voi cittadini di Latina. Lo stato siamo tutti  noi, persone per bene. I veri padroni siamo noi e questa sera, da questo corteo spontaneo (e vi sto chiamando cittadini, non associazioni, non gruppi di parte ma cittadini), questa sera dicevo, nasce un patto indelebile tra le forze di polizia di Latina e i cittadini: aiutateci, stateci vicini, venite a raccontarci quello che vivete sulla vostra pelle. Qui troverete ascolto, comprensione e protezione. Faremo tutto molto più in fretta, così che sia chiaro, una volta per tutte, che quello che abbiamo fatto fino a qui, è solo l’inizio. Grazie a tutti voi”.

sabato 17 ottobre 2015

Sulla libertà di stampa si predica bene ma...




(Riporto qui l'articolo del giornalista Clemente Pistilli de "Il Giornale di Latina" che condivido in pieno)

Si fa presto a dire “Je suis Charlie”, postando un cartello su Facebook o partecipando a una marcia. Restando in ambito strettamente locale è facile anche scrivere #stoconaielli, dopo le epigrafi intimidatorie nei confronti della giudice. Lodare la stampa libera nel corso di incontri o comunicazioni ufficiali rende subito un pubblico amministratore un moralizzatore. E poi fa così tendenza un po’ per tutti dichiarare che non c’è più il giornalismo di una volta, quello d’inchiesta, e che le penne di oggi sono serve del potere. Diverso, però, è cercare ogni giorno di realizzare un giornale, fare onestamente il proprio lavoro e tentare di fornire soltanto un quadro e un’analisi ai lettori nel modo più accurato possibile. Anche in provincia chi “è Charlie” o “#staconaielli” capita che non #stacoinigiornalisti. Nel momento in cui chi scrive va oltre il comunicato stampa, oltre la verità ufficiale, quella “velinara” e, senza neppure fare grandi inchieste, non fosse altro che per la mancanza di mezzi, si limita a sviscerare le indagini condotte dalla locale magistratura, diventa un fastidio. Un elemento di disturbo tanto per l’uomo della strada che per quello delle istituzioni.
La locandina dell'evento
Un nemico quando riporta fedelmente i temi oggetto d’inchiesta, come emergono dagli atti giudiziari, e un nemico da abbattere se prova a contestualizzarli, mettendo in fila nulla più che dati oggettivi. A quel punto la stampa libera non piace più e contro quella stampa si passa all'azione. I sistemi sono tanti e i colpi hanno ormai in terra pontina cadenza quotidiana. Il primo è quello dell’insinuare il dubbio, meglio se sui social network, che non hanno nulla di ufficiale ma da lì i messaggi arrivano presto e a molti. Del resto, anche Lenin diceva: Infanga, infanga, anche se non è vero qualcosa resta. Si comincia così a insinuare che il tale giornalista sia un diffamatore di professione o almeno un incompetente, un abusivo e pure sgrammaticato, uno soprattutto che non fa informazione ma colpisce Tizio o Caio per agevolare Sempronio. Ore passate a studiare carte e notti davanti a un pc diventano nulla di più che la costruzione di una gigantesca macchina del fango. E se si riesce a dipingere così un intero giornale ancora meglio. Poi si alza il tiro: diffide e querele, utili a scoraggiare il cronista dall'andare avanti nel suo lavoro e, se tutto va bene, anche a far sganciare un bel po’ di soldi a un giornale, così magari, con i finanziamenti pubblici che sono solo un ricordo, chiude. Quando poi tutto ciò non dovesse bastare si attivano i poteri forti, nel tentativo di far cacciare a pedate chi ha osato fare il suo lavoro, col ricatto, spesso, che in caso contrario a un determinato organo d’informazione si fa venire meno anche quel minimo di introito commerciale con cui tira avanti. Un’inchiesta giornalistica, scriveva uno degli ultimi grandi maestri, Giuseppe D’Avanzo, che per fare bene il suo lavoro è finito anche in carcere, è la paziente fatica di portare alla luce i fatti, di mostrarli nella loro forza incoercibile e nella loro durezza. Il buon giornalismo sa che i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere e se ne fa custode nell’interesse dell’opinione pubblica. Nel piccolo questo tanti provano a fare, ogni giorno, 365 giorni l’anno. Questo sta provando a fare Il Giornale di Latina da oltre un anno a questa parte, con grandi sacrifici da parte di tutti quelli che, senza andare in piazza, senza giocherellare sui social network, senza chiedere il sostegno delle organizzazioni di categoria, ma solo col sudore della propria fronte, cercano soltanto di fare i giornalisti. Il resto è “Charlie” da salotto. O da social.

venerdì 2 ottobre 2015

De Marchis e l'accusa di estorsione...



Giorgio De Marchis, ex consigliere comunale, ex capogruppo Pd di Latina (prima di essere defenestrato e sostituito da Alessandro Cozzolino), quasi consigliere regionale e responsabile della trasparenza dell’Ater, commentando le notizie apparse sul “Il Giornale di Latina” che riguardavano Paolo Galante ha lanciato una accusa precisa. Il sottoscritto (redattore dell’articolo) sarebbe un “estorsore”. Più volte ho chiesto pubblicamente conto di questa definizione al suddetto, sia su Facebook che privatamente. Ma non vi è stata alcuna risposta. Ha detto De Marchis: “alcuni cronisti locali confezionano falsi scoop, buoni solo per provare a ricattare qualcuno” e poi ancora : “I dossier casarecci, i maldestri tentativi di estorsione”. Ha poi spiegato – rispondendo ad altri, fatto curioso questo – la sua cosiddetta opinione in questo modo: “trovo inquietante che imbocchi nelle proprietà private sventolando dossier preconfezionati costruiti per insinuare, se questi non sono ricatti poco ci manca. Quando un giornalista ha i ‘dossier’ che provano qualcosa, scrive assumendosene la responsabilità, non sventola le sue ‘prove’ davanti al suo interlocutore a meno che non voglia intimorirlo”. Una bella sequela di sciocchezze, visto che il sottoscritto non ha sventolato niente, e si è presentato dall'interessato per avere una sua versione dei fatti da poter inserire nell’articolo affinché non si potesse dire che la sua versione era stata omessa. Galante ha declinato l’invito, libero di farlo, invitandoci a scrivere e che avrebbe poi risposto lui in un secondo momento. Questi politici – Claudio Moscardelli per primo – che si dimenticano che loro fanno un mestiere e c’è chi ne fa un altro sono un po’ curiosi, ed ogni volta che si scrive di loro, la prima cosa che fanno è accusare l’estensore dell’articolo di vicinanza con la parte avversa e poi parte la lezioncina di giornalismo. Aprano una bella scuola con De Marchis rettore e vediamo cosa ne esce fuori, visti i toni con i quali lui apostrofa gli altri. Ma cosa sarebbe successo se le parti fossero state invertite? Perché se il sottoscritto avesse per caso detto che qualche politico locale sta compiendo un “goffo tentativo di estorsione” vorrei proprio vedere di cosa staremmo parlando oggi. Oggi il sottoscritto sarebbe stato – giustamente credo io – interdetto dalla propria collaborazione giornalistica, e avrebbe dovuto cambiare lavoro. Cosa fa il Pd in questo caso? Si mette a discutere se Galante è di destra oppure no. I fatti sono questi, si scrive un articolo, documenti alla mano e un ex consigliere comunale anziché rispondere sul fatto parla di “estorsioni”. Se al Pd di Latina piace così, allora andiamo avanti.E dire che proprio De Marchis, dovrebbe avere a cuore la trasparenza. Mi sento, personalmente, di augurare buona fortuna al candidato Paolo Galante...con dei compagni di viaggio così, ne avrà davvero bisogno.