domenica 29 novembre 2015

Renato Maffia Vs disattenta Barbara D'Urso



Un frame della trasmissione di Canale 5
A livello comunicativo, per Renato Maffia, la trasmissione “Pomeriggio 5” è stata una scivolata molto insidiosa. Il padre del piccolo Emilio Maffia, il bambino di madre filippina bloccato per un intoppo burocratico in quel lontano paese sta lottando da mesi per cercare di portare il bambino a Latina ma la battaglia è molto complicata, per motivi di burocrazia internazionale e più di qualche stranezza da parte dell’ambasciata italiana a Manila. Delle vicissitudini di salute (il bambino è nato cardiopatico) e burocratici del bimbo di quindici mesi abbiamo spesso parlato. Ma Emilio Maffia lo scorso lunedì è stato ospite della trasmissione di Barbara D’Urso “Pomeriggio 5”, dove si supponeva che avrebbero dovuto aiutarlo. L’inizio del collegamento non prometteva bene, in quanto la conduttrice (che si occupa di molti casi tutti i giorni) non sembrava assolutamente al corrente della difficile situazione, ma fin da subito la D’Urso si è concentrata in maniera quasi morbosa e difficilmente comprensibile su un dettaglio: all’inizio del collegamento, il padre “sorrideva”. Fatto questo apparso fin da subito intollerabile per la D’Urso che pure metteva in conto la possibilità che il Maffia fosse visibilmente emozionato nel dover parlare davanti a milioni di telespettatori. Quando inizia il collegamento si sente la troupe che avvisa Renato Maffia di essere in diretta, lui fa un
accenno ad un timido sorriso Barba D’Urso lo incalza: “Vedo che sorridi Renato, hai delle novità buone da raccontarci?”. Ma il Maffia non ha nessuna buona notizia, anzi, le notizie sono pessime. Il Comune di Latina ha respinto ufficialmente la sua richiesta di trascrizione di cittadinanza e quindi Emilio non può fare il passaporto per espatriare. E questo è un male, perché in un paese dove la sanità è a
pagamento, un bambino nelle condizioni di Emilio rischia di non poter ricevere le adeguate cure mediche. Per questo motivo Renato vive in un box auto, mangia alla Caritas e manda tutto quello che guadagna per il sostentamento del bambino. Ma questo alla D’Urso non sembra interessare molto, e davanti ad alcune di queste spiegazioni non ha di meglio da dire che “se io fossi il papà di quel bambino sarei molto più triste, non sorriderei, ma forse sei emozionato” e poi domanda “ma com’è la situazione, il bambino deve essere operato?” non sapendo che Emilio è già stato operato, grazie all’attenzione di un’altra trasmissione Mediaset (Le Iene) e una Onlus che ha raccolto i soldi (25 mila euro) per l’intervento. Infatti Maffia cerca di rendere la cosa simpatica e dice “in un certo senso mio figlio è anche figlio di Mediaset, perché la vostra azienda gli ha salvato la vita. Sarebbe morto senza di voi”. La D’Urso, abituata a ben altre brutture nel suo programma risponde “detta così fa un po’ impressione”. Fine del collegamento e tanti saluti.
Il piccolo Emilio nelle Filippine quando
aveva meno di un anno
Dopo la diretta Renato si è anche sentito rinfacciare da alcuni cittadini che hanno seguito la sua vicenda il fatto che non sarebbe vero, come ha asserito che non ha una casa visto che il collegamento era ambientato in un bellissimo salotto con tanto di camino e bandiera filippina sullo sfondo. Tanto che invece di un collegamento con un caso umano sembrava un messaggio natalizio presidenziale o uno special di Natale della Fox. Ma la casa non era di Renato, naturalmente, ma della giornalista Bianca Francavilla, che l’aveva messa a disposizione per l’occasione. Insomma, tra la conduttrice (che comunque non aveva bisogno di presentazione e per la quale non risultano menzioni per il Pulitzer), l’ambiente principesco e la pessima riuscita del collegamento, quello di “Pomeriggio 5” è stato un bruttissimo quarto d’ora per Renato. Ma va peggio a suo figlio nelle Filippine, rientrato ieri in ospedale per problemi respiratori dovuti alle diverse terapie contrastanti tra cuore e polmoni. E in questo balletto continua a rimanere la domanda: di chi sarà la colpa se questo cittadino metà filippino e metà italiano dovesse morire dentro una baracca di legno e lamiera nelle Filippine invece di ricevere cure mediche gratuite e di qualità in Italia?

venerdì 27 novembre 2015

Calandrini, la "bella statuina" che studia da sindaco



Prendiamo lo Statuto del Comune di Latina, che è un po’ la Costituzione di una città. Titolo quarto, capo primo e secondo, articoli 66 e 67.

I consigli immortali

Si parla di decentramento amministrativo e di circoscrizioni. Si legge: “i Consigli di Circoscrizione sono Organi rappresentativi delle esigenze della comunità della Circoscrizione nell’ambito dell’unità del Comune”. Molti se li ricordano con affetto i cari, vecchi, consigli di circoscrizione, vera palestra politica per i giovani, capace di raccogliere le istanze dei territori come nessun altro organo. Peccato che, per i comuni al di sotto dei 250 mila abitanti, siano stati aboliti nel 2011, per cui, non si capisce come mai siano ancora descritte nello Statuto cittadino.

Non è una città per giovani

Nicola Calandrini 
Continuando a scorrere ci si trova davanti all’articolo 77 bis: “consiglio comunale dei ragazzi”. A “scopo di favorire la partecipazione dei ragazzi e delle ragazze” lo Statuto prevedeva un consiglio comunale con tanto di liste, voti e proposte da portare al consiglio comunale dei senior. Lo strumento appariva forse troppo simile al consiglio dei “grandi” ed è stato luogo di militanza anche di alcuni giovani rampanti di destra e di sinistra. Ma oggi è stato completamente dimenticato, tranne che dallo Statuto. Ormai, i ragazzi che lo hanno composto saranno padri, alcuni addirittura nonni tra poco. Ma non si è deciso cosa farne di questo strumento che però resta lì, sulla carta.

Il difensore civico
che non c’è

E che dire della solenne istituzione – all’articolo 82 dello Statuto del Comune – della figura del “Difensore Civico”. Così si legge ancora nello Statuto: “È istituita la figura del Difensore Civico del Comune di Latina”. “Il Difensore Civico – recita lo Statuto al comma 2 dell’articolo 82 - è nominato dal Consiglio Comunale a maggioranza qualificata dei due terzi in prima votazione ed assoluta per la seconda, tra persone di comprovata capacità moralità e saggezza. Egli potrà promuovere ogni azione che riterrà utile, avvalendosi delle strutture comunali compresa l'avvocatura, volte a garantire la buona Amministrazione e la trasparenza degli atti”. Di questa figura a Latina non si è mai vista nemmeno l’ombra, né risulta se ne sia mai seriamente parlato.

Lo Statuto di cartaccia

Lo Statuto Comunale di Latina è tutto un susseguirsi di buone intenzioni mancate e di aggiornamenti clamorosamente omessi, come se la Carta non interessi proprio a nessuno. Ma a chi avrebbe dovuto molto interessare questo documento in tutti questi anni? Uno dei politici che più di ogni altro aveva responsabilità sullo Statuto Comunale è stato di certo Nicola Calandrini, ex presidente  del consiglio comunale nel secondo mandato Zaccheo e in quello di Giovanni Di Giorgi, ras di consensi a Latina Scalo e tra i consiglieri più votati dell’ultimo ventennio. Lui aveva un ruolo istituzionale doppio per vigilare sul comportamento (a volte davvero incredibile) dei consiglieri comunali in aula e nelle inutilissime commissioni consiliari, che spesso si riunivano a vuoto ma che facevano sprecare l’ira di dio in gettoni alle casse comunali (almeno 240 mila euro l’anno).

Il doppio ruolo sprecato

Ma Calandrini non è stato solo presidente del Consiglio Comunale, ma anche reggente di una commissione che si riuniva raramente e mai a vuoto (questo si può dire tranquillamente) come quella di Affari Istituzionali. Da questa commissione sono venute le uniche modifiche fatte recentemente nello Statuto in materia di referendum propositivi e sui lavori d’aula (istituendo finalmente il Question Time che in altri comuni a noi vicini c’è da decenni). Lungi dall’essere un grande successo, nemmeno questi piccoli passi avanti sono stati comunque tutta farina del sacco di Calandrini. Ci sono volute le firme e l’attenzione di comitati cittadini per far ottenere questo diritto (per ora solo virtuale) alla cittadinanza di Latina.

Regolamenti abbandonati

Si stenda, poi, un velo pietoso, sulla marea di regolamenti in blocco che non sono mai stati presentati, come quello sul commercio, quello sui campeggi, le antenne telefoniche, il piano del colore o addirittura il regolamento edilizio, che è stato messo in cantiere dal commissario Nardone e continuato (ma non si sa se sarà concluso) da Barbato. Quello di Calandrini era uno dei ruoli politicamente più importanti ed economicamente meglio retribuiti a cui si poteva ambire nel panorama della politica locale. Ma come presidente, in tutti questi anni, non ha mai fatto quasi nulla, e francamente si vede. Il viaggio nei borghi e nei quartieri di Calandrini in versione aspirante sindaco, quindi, assume un significato quasi incredibile e i cittadini, prima ancora di sapere quale “visione” ha Calandrini per il futuro della città, dovrebbero domandare cosa ha fatto in tutto questo tempo quando ha avuto in mano uno dei ruoli più importanti della politica cittadina. Non c’è bisogno di fare molte ipotesi, basta guardare lo Statuto per capire che questo votatissimo commercialista, nel suo ruolo, non ha fatto granché. Ma forse quasi un decennio di potere non bastava, aveva bisogno di più tempo.

giovedì 26 novembre 2015

Le "pazze" primarie del Pd di Latina (Video)




Il presidente di seggio alle primarie Pd del 22 novembre agita un documento
rotto in due che si pretendeva dovesse essere considerato valido

Sono le 20:30 circa al centro Arca Enel, di fianco alla chiesa di Santa Maria Goretti a Latina.


Non è un giorno qualsiasi ma è il 22 di novembre e si tengono le primarie del Pd, quelle di cui tutti parlano e che hanno visto l’uno contro l’altro il candidato moscardelliano Paolo Galante, manager del Foro Appio Hotel contro Enrico Forte, consigliere regionale e dirigente dem in provincia.
E’ una lotta tra due anime e per tutti i giorni precedenti hanno serpeggiato polemiche e sospetti e il clima è quanto mai caldo. Sono le 20:30 quando una signora di circa cinquant’anni si presenta al seggio accompagnata da Massimiliano Carnevale, figlio di Aristide che è stato un silenziosissimo consigliere comunale della giunta Di Giorgi per il Pd e, come il figlio, ha un passato democristiano (proprio come Forte). Ma sostiene Galante e in quel momento, di voti ce ne sono tre in ballo, madre e due figli.
Carnevale fa avanti e indietro dall’esterno della sala fino alle urne, si prodiga per tutti, documenti alla mano indica. Più solerte di lui solo Valentina Pappacena, attivista moscardelliana (oggi ritirata dalla politica) che, taccuino alla mano e telefono sempre acceso, macinano voti e persone che portano direttamente all’urna.
 Le carte d’identità volano, passano di mano, qualche breve istruzione e poi via, il gioco è fatto. Insieme il loro impegno congiunto peserà e molto. Si batteranno su ogni singolo voto e alla fine, c’è chi dice che abbiano portato diverse centinaia di voti a favore di Galante.

“Io so il numero preciso dei miei votanti, miei personali, per mio impegno”
rivela la Pappacena su Facebook.
E sapere esattamente quanti hanno votato come gli è stato detto è frutto di un lavoro certosino fatto di telefonate, di impegni, di segnalazioni e solerzia.Tutto procede bene, tutti votano e il clima per Galante è elettrico. Ad un certo punto: il dramma. Un giovanotto non può votare.  Il suo documento è ridotto a brandelli, ma Carnevale non ci sta. Protesta contro chi sta al seggio “ma come no, guardi, il documento è diviso a metà ma si capisce, mi sembra assurdo” dice. Dopo aver fatto un paio di volte avanti e indietro alla fine interviene il presidente del seggio, una signora con un maglione rosso e con poca voglia di discutere. “Senta – gli dice – lei è qui dalle otto del mattino che insiste. Ma non possiamo accettarlo un documento in questo stato”  afferma ad alta voce sventolando un pezzo della carta d’identità nella mano destra e l’altra nella mano sinistra a dimostrazione che non si tiene per niente insieme.  Al seggio arrivano in blocco Paolo Galante (il signor candidato), il senatore Claudio Moscardelli, un paio di gregari e qualche curioso. “Non c’è bisogno di alzare la voce – dice Moscardelli – stiamo calmi”. “Senti Claudio – gli dice la signora – il fatto che ti metta in mezzo in una cosa del genere mi sembra davvero…lasciamo stare va”.
E poi si rivolge a tutti “io sono per la legalità, chiaro?”. Il senatore Moscardelli si schernisce: “sì, ma non la usiamo a sproposito questa parola – avverte – altrimenti mi agito anche io, stiamo calmi”.
Vi da fastidio che vogliamo far valere il diritto di voto di tutti quanti?” dice l’infaticabile Carnevale che poi si defila. Un ragazzo con la tuta ha portato dello scotch da pacchi trasparente e i due cercano di rimettere il disgraziato documento del giovane insieme, il tutto davanti ai seggi del voto.
Moscardelli capisce che stanno dando spettacolo e allora si avvicina e gli dice di smetterla “ma scusa, abbi pazienza” insiste Carnevale. Ma anche il ragazzo con il nastro isolante capisce che è troppo, prende i pezzi del documento e si defila rapidamente.
 E il dramma alla fine si è consumato, l’elettore, che sicuramente non vedeva l’ora di esercitare a pieno il suo diritto di voto, non ha più potuto votare, ma fortunatamente i suoi congiunti sì.
La democrazia, in fondo, vince sempre.

venerdì 20 novembre 2015

Non deridete il "cane eroe" simbolo di speranza

I simboli sono importanti. Lo sanno bene quelli dell'Isis, che hanno messo in fila una serie di macabri esperimenti di morte dove le più assurde fantasie vengono messe in scena. 

Un set hollywoodiano di sangue e terrore

Immagini delle esecuzioni dell'Isis
Quante volte ci siamo domandati, nel nostro intimo come deve essere terribile morire annegati dentro una gabbia; come deve essere venire bruciati vivi, colpiti da un razzo dentro un'autovettura, decapitati da un'esplosione. Sono incubi da svegli, paure ataviche che prima o poi toccano i nostri pensieri. Chiunque sia dietro a questa organizzazione lo sa, e di fatto interpreta nella maniera più orrenda e cinematografica il paesaggio della punizione Divina. Lo fa con un linguaggio che noi possiamo comprendere e temere. Cerca di
spaventarci.
La famosa foto dell'uomo che
non fa il saluto nazista

Le folle che tolgono la speranza

Adunata nazista
I simboli sono importanti perché possono togliere la speranza, come sapevano bene i nazisti che nelle loro oceaniche adunate facevano sventolare giganteschi vessilli e radunavano tutti in cerchio intorno al capo, attaccati gli uni agli altri. E costringeva la gente ad un saluto
particolare che legasse tutti i presenti a quel destino come una promessa. Sapevano, i nazisti, che il popolo tedesco non giura invano. Sapevano che appartenere a qualcosa è importante. Questo è tanto vero che quel giorno in cui una persona, per un motivo o per l'altro, non ha salutato in mezzo a tutta la massa di braccia tese è passato alla storia. Anche quello era un simbolo, il simbolo di un saluto mancato, tra la folla della schiacciante maggioranza.
Una piazza di "Littoria" oggi Latina

le piazze del regime

Lo sapevano gli architetti e gli ingegneri del regime che le piazze dovevano essere ampie e dovevano costringere le persone a passare in mezzo, senza rifugi ai lati, con i palazzi del governo che, immanenti,
sembravano vedere tutto. I simboli tolgono l'aria, annientano il pensiero, sono capaci di cancellare o aumentare la paura in maniera esponenziale.

Simboli di speranza

Ma danno anche speranza, e sono in grado di farci capire che c'è qualcosa che va più in là di noi, per cui vale la pena combattere. Per questo mi dispiaccio che si derida il "cane eroe", il pastore tedesco ucciso nella sparatoria di St.Denis. Perché quel cane, anche se è "solo un cane" è anche un simbolo. Le deviazioni
Il cane Diesel
animaliste e le esagerazioni non posso consentire a qualcuno di dire che "si piange più per il cane che per le vittime". Il cane è un simbolo di quel coraggio battagliero e disinteressato, senza timore e senza coscienza. "L'amore per gli animali e l'odio persone sono una pessima combinazione" diceva Konrad Lorenz, e aveva ragione. Per cui, ci saranno sempre sciocchezze di riserva per coloro che hanno voglia di spararle. Ma non si può sottovalutare il valore simbolico di un cane eroe.
Il corpo imbalsamato di "Cher Amì" 

Cher Amì non è "solo un piccione"


Nell'ottobre del 1918, si decideva la sorte della 77esima divisione (detta anche "la Divisione perduta") dell'esercito americano impegnata nella battaglia delle Argonne, durante la prima guerra mondiale. Intrappolati dal semicerchio offensivo dell'esercito tedesco, con alle spalle una insormontabile depressione rocciosa e sotto il tiro di artiglieria degli stessi alleati che ignoravano la loro posizione. Una situazione che poteva rappresentare solo la morte o la prigionia per i soldati che la subivano. Cher Ami (caro amico in francese) era un piccione portamessaggi femmina in dotazione all'esercito. I soldati del 77esimo avevano già lanciato altri due sos ma entrambi i piccioni furono abbattuti. Restava solo lei, Cher Ami. "Ci troviamo lungo la strada parallela alle coordinate
276,4. La nostra stessa artiglieria sta effettuando uno sbarramento proprio sopra di noi. Per l'amor di Dio, fermatevi” questo era il messaggio. Cher Ami si alzò in volo tra il rombo delle bombe e il fischio dei proiettili che cercavano di centrarlo. E dopo aver schivati numerosi colpi venne ferita al petto, alla zampa e all’occhio. Nonostante le ferite, il piccione percorse le 25 miglia che la speravano dal quartier generale in soli 65 minuti. E il comando sposto il tiro, permettendo a poco meno di duecento uomini di salvarsi la vita. I medici militari fecero di tutto per salvare la vita all’animale e ci riuscirono. E nonostante fosse “solo un piccione” l’esercito americano conferì ugualmente la “croix de Guerre” per le dodici missioni concluse con successo e il numero di vite e di informazioni che aveva salvato e trasportato. Morì tra il cordoglio di tanti nel giugno del 1919 per le ferite riportate in battaglia che l’avevano irrimediabilmente minata. Era solo un piccione, è vero. E non aveva coscienza dell’importanza dei suoi gesti. Ma gli eroi, possono anche essere incoscienti.

I simboli sono ancora importanti

I simboli sono ancora importanti, anche per noi, se potete, non derideteli. E se proprio non riuscite a farne a meno pensate se voi sareste riusciti, con tutto il vostro sarcasmo e il vostro giudizio, a fare altrettanto. L’umiltà vi dovrebbe risorgere, anche di fronte ad un gesto di incosciente eroismo. 

mercoledì 18 novembre 2015

Come gatto e gatto: Forte e Moscardelli, storia di uno scontro


Enrico Forte e Claudio Moscardelli


Quale degli dei, li spinse alla disputa?(Iliade) 

Certo, lui parlava dei “migliori” tra i greci della leggenda. 
Qui si parla delle primarie del Pd di Latina, quindi è giusto fin da subito ridimensionare. 
Ma la domanda rimane, seppur ridimensionata: come hanno fatto le due principali anime del Pd pontino ad arrivare allo scontro diretto? Per molti osservatori era inevitabile...

Forte, nato come strumento di Moscardelli

Sin dal momento in cui Moscardelli decise di usare Enrico Forte come oppositore a quel tanto osteggiato Giorgio De Marchis per la carica di consigliere regionale qualcuno aveva profetizzato: “Non durerà il loro Idilio”. E in effetti, sembra che fin da quella campagna elettorale avvenuta ormai anni fa e nella quale prevalse Enrico Forte per soli 16 voti su De Marchis, già il seme dell’astio tra i due fosse stato seppellito, pronto a germogliare. Anni di piccole azioni di guerriglia, di sorrisi forzati, di occhiatacce, per arrivare ad uno scontro che rischia di spaccare in due il Pd  (l’unico partito attualmente in piedi non solo da noi, ma in tutto lo scenario nazionale). 

Gatti furiosi

La lite tra i due si  potrebbe paragonare a quella tra due gatti che litigano per strada. Sarà capitato a molti di vedere la scena: i due felini restano fronte a fronte a minacciarsi per lunghissimo tempo, a volte per ore. Nessuno dei due ha veramente voglia di attaccare, temendo di restare ferito. Ma nessuno dei due vuole voltarsi ed andarsene. I gatti lo sanno che se si voltano espongono ad un facile attacco il loro fianco e il ventre. Per questo motivo, nessuno dei due desiste, sebbene nessuno dei due voglia seriamente lottare. E forse è proprio così che è andata tra i due. Enrico Forte ha fatto vedere le sue carte a febbraio di quest’anno. Si è mostrato alla città portando il verbo della Regione su rifiuti e urbanistica, due temi caldissimi della nostra storia recente. 

Complicare la facile vittoria 

Due temi con i quali la giunta Di Giorgio di centrodestra ha combinato disastri: un gol a porta vuota. Forte si propone di segnarlo, ma il partito non lo segue, non si fida. Il caso del commissariamento di Priverno con la caduta del sindaco Angelo Delogu aumenta i sospetti su una possibile trattativa tra Forte e l’entourage moscardelliano, la tensione sale. E nonostante Enrico Forte nel proporsi non usi mai la frase “mi candido” si aspetta che la segreteria provinciale lo proponga. Ma La Penna and co. sono espressione pura di Moscardelli, ormai è conclamato. E nessuno si muove. Anzi spunta un nome, quello di Francesco Damiani, grande amico di Moscardelli. 

"L'insulto" di Moscardelli

Francesco Damiani 
“Lui sì che può fare il sindaco” dice Moscardelli preferendo il bancario al posto del consigliere regionale. Nel linguaggio della politica questo è chiaramente un insulto. Enrico Forte la prende male, e da che la sua presenza nel panorama pontino appariva quasi un modo per poter dire la sua su una possibile futura candidatura, decide di non demordere e resta al suo posto di candidato. “Forte non si candida davvero - dicevano in molti tra i moscardelliani - mollerà, fa sempre così”. Ma ormai sia Moscardelli che Forte sono l’uno di fronte all’altro. Entrambi logorati (Moscardelli di più, se non altro per anzianità al vertice del Pd), e con poca voglia di combattere. Moscardelli fa una mossa che dal suo punto di vista doveva essergli sembrato un vero e proprio ramoscello d’ulivo: candida Paolo galante, amico di Enrico Forte. “Sarà un candidato che Enrico non potrà rifiutare” dice Moscardelli. 
Paolo Galante 
E Forte glissa, fa buon viso a cattivo gioco. Ma ormai è andato troppo lontano, e se fa un passo indietro per un candidato oggettivamente deboluccio come Galante i suoi faranno a meno di lui. Forte rilancia, si mette di traverso pure contro Galante. Non hanno parlato la stessa lingua, non si sono capiti. 

L'insanabile frattura

E’ stata il dio Caos, il pallino della politica, la possibilità di segnare quel gol a porta vuota o il demone del rischio la divinità a mettere le due anime del Pd pontino l’una contro l’altra. Questo e molto altro ed ora solo una cosa è certa, chi perde, perde molto, forse tutto in questo confronto che è un incrocio tra una guerra e una partita di calcio. E, come diceva Churchill “gli italiani
perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio”. E questo non fa altro che complicare la situazione.

lunedì 2 novembre 2015

Il piccolo Emilio vs la burocrazia internazionale


Emilio Maffia con la mamma nelle filippine 


(Estratto da "Il Giornale di Latina" 1/11/2015)


Nonostante il padre Renato sia stato riconosciuto come tale appena sette giorni dopo la nascita del piccolo Emilio, il governo italiano, non ne vuole sapere di riconoscere Emilio Natad Maffia come cittadino italiano.

Il parere dell’ambasciata
italiana a Manila

I documento dell'ambasciata italiana a Manila
pubblicati in anteprima da "il Giornale di Latina"
 il primo di novembre
E in particolare, l’ambasciata italiana a Manila, sembra osteggiare questo ricongiungimento familiare. Se non altro perché alle pratiche giunte in Italia a marzo, l’ambasciatore (o chi per lui) ha fatto allegare una comunicazione che evidentemente ha lasciato molti dubbi agli uffici comunali, in quanto è da marzo che non rispondono alle richieste di Renato, se non con documentazione incompleta ed illegittima.
Una strana comunicazione
La lettera che l’ambasciata ha mandato al Comune di Latina, oltre che alla prefettura e al Ministero degli Esteri era riservata. Ma “Il Giornale di Latina” è riuscito comunque ad ottenerla e il contenuto di questa lettera è oltremodo sconcertante. L’ambasciata italiana a Manila, infatti, mette in guardia l’ufficio di Stato Civile che il 2 marzo di quest’anno si ritrovava questa lettera sulla scrivania e che avrebbe potuto dover affrontare la richiesta di Renato Maffia di iscrivere il figlio nel suddetto ufficio.

“Documenti filippini
inaffidabili”

“Il riconoscimento e la contestuale richiesta di cittadinanza sarebbero dettate da ragioni mediche – spiega la lettera che poi prosegue – non è sufficiente rispetto a tal fine, la dichiarazione dell’evento resa alle autorità filippine, che usano rilasciare i relativi certificati unicamente sulla base delle semplici dichiarazioni rese dall’informante, in questo caso la madre stessa”. Ovvero, non bastano le dichiarazioni della madre e di colui che si presenta come tale, secondo l’ambasciata italiana. Anche perché “premesso che la Sede opera in un Paese notoriamente esposto a rischi di sensibile natura e ad una diffusa circolazione di documenti inattendibili, si è provveduto ad effettuare accertamenti del caso”. Insomma, i documenti, nonostante siano stati riconosciuti anche dall’ambasciata filippina in Italia, potrebbero non essere affidabili.

“Le difficoltà della legge
filippina”

Inoltre, l’ambasciata italiana a Manila ci tiene a sottolineare un altro profilo di criticità: la legge filippina. La signora Annaliza, infatti, è già coniugata e nelle filippine non c’è una legge per il divorzio. Il signor Hedgar Hontucan Go è il marito di Annaliza. Ma lei non lo vede da ben 12 anni. Nel frattempo ha avuto un’altra figlia in una precedente relazione ed ora ha il piccolo Emilio. “Affinché il Maffia possa riconoscere il figlio che afferma essere suo, sarà necessario un atto di disconoscimento del signor Go” anche perché “altrimenti sia il signor Maffia che la signora Natad si troverebbero esposti ad un procedimento penale per adulterio”. Insomma, l’ambasciata italiana ragiona con le leggi filippine ma non ne riconosce gli atti.

Quel piantagrane di Maffia

Alla fine, la lettera prende anche una piega molto bizzarra, quando l’ambasciata scrive al Comune di Latina che “il rilievo che si è cercato di dare alla vicenda appare piuttosto immotivato, del resto, non può non rilevarsi che il signor Maffia appaia in ogni caso incline a dare il massimo risalto possibile ad avvenimento che lo riguardano, come mostra qualche articolo di stampa su una vicenda concernente la mancata assegnazione di un alloggio popolare per il quale Maffia si sarebbe incatenato presso i locali della Procura di Latina”. Insomma, Renato è uno che fa un po’ di sceneggiate quando si tratta di questioni come casa e famiglia. E del resto, la casa popolare – a sentire lui – l’avrebbe ottenuta.

L’ambasciata invitata alla prudenza. Ma chi è il
responsabile della salute del bambino? 

L’ambasciata italiana nelle filippine conclude raccomandando prudenza per non generare “situazioni che in prospettiva possono creare problemi di ordine pubblico”. Da marzo di quest’anno, il Comune di Latina è a conoscenza di questa situazione. Ed è sempre da marzo che, in assenza di una risposta, sul Comune di Latina e sul commissario Barbato (che aveva promesso che mai e poi mai avrebbe fatto uscire dagli uffici da lui diretti atti illegittimi) grava la responsabilità sul bambino in precarie condizioni di vivibilità. Perché cosa accadrebbe se le condizioni  del piccolo si dovessero aggravare? O se peggio, dovesse morire? Di chi sarà la responsabilità allora?

La battaglia per Emilio

Dalla pagina Facebook dell'imprenditore Berardi
Un momento dell'incontro di sabato
per aiutare il piccolo Emilio Maffia
Per sempre più persone, la vicenda del piccolo Emilio Maffia, il bimbo cardiopatico di quattordici mesi prigioniero della burocrazia nelle Filippine non ha più bisogno di presentazioni. L’associazione Aps insieme ai responsabili della pagina Facebook “Breaking News Latina” (che in genere è un sito satirico che parla dell’attualità locale ma che ha preso a cuore la vicenda) hanno congiuntamente organizzato un incontro per trovare il modo di aiutare Emilio Maffia e suo padre, il cittadino di Latina Renato Maffia, che sta affrontando molte difficoltà per pagare le visite settimanali, i farmaci e il sostentamento del figlio nelle Filippine (paese dal quale per via di un cavillo burocratico non può espatriare e dove il servizio sanitario è completamente a pagamento). Alla riunione erano presenti esponenti della società civile, legali e rappresentanti di associazioni di consumatori (che hanno annunciato la messa in mora del Comune per le lungaggini e le illegittime risposte date al padre in questi sei mesi di richieste), oltre ad esperti in materia di Stato Civile. E c’era, anche molto partecipativo, l’imprenditore Roberto Berardi che ha annunciato una battaglia senza quartiere per portare il bambino a casa. Ha già duramente attaccato l’ambasciatore italiano a Manila e il governo italiano. “Mi vengono i brividi a pensare che tutta questa situazione si è venuta a generare per via di una comunicazione dell’ambasciatore a Manila. Ne parleremo presto” ha detto Berardi. C’erano anche alcuni attori che si sono detti disponibili a replicare appositamente per una raccolta di fondi per Emilio alcuni dei loro spettacoli, mentre si preparano in collaborazione con la Croce Rossa Italina, dei salvadanai da distribuire in centro per aiutare il piccolo Emilio Maffia. Presto verrà aperta anche una sottoscrizione e molte forze pensanti si stanno radunando intorno al destino di questo piccolo cittadino italiano che la burocrazia italiana respinge. La battaglia, di fatto, sta per entrare nel vivo.