giovedì 30 luglio 2015

Di Rubbo e Monti, veggenti ed alchimisti dell'urbanistica




Giuseppe Di Rubbo (ex assessore all'urbanistica di Forza Italia) 



Tra i tanti commenti emersi dalla polemica per la destinazione d’uso dello stadio Francioni due in particolare spiccano per importanza. Quello dell’ex super-ultra dirigente all’urbanistica Rino Monti (responsabile unico di molti tra i più importanti procedimenti urbanistici della città, ex direttore generale ed ex super dirigente dell’area edilizia pubblica e privata e molto altro) e di Giuseppe Di Rubbo. Il quotidiano “Il Messaggero” ha intervistato Rino Monti sulla situazione dello stadio e lui ha risposto dalla sua località di vacanza sminuendo decisamente il problema: “per me è tutto regolare, ma in caso ci siano problemi, basta rivolgersi all’articolo 1 bis, comma 2 lettera A del piano casa e si risolve tutto senza perdere nemmeno un minuto”. C’è da scusarsi per il fitto intreccio di indirizzi tecnici e normativi per mostrare la soluzione, ma secondo Monti questa procedura “lineare” era proprio l’alchimia giusta per risolvere il problema. In molti lettori avranno avuto uno sbandamento e forse anche il commissario prefettizio Barbato. Si vede che non ha capito bene nemmeno lui perché solo pochi giorni fa fonti comunali hanno smentito che questo modo di procedere sia percorribile. Chi vivrà vedrà, ma se questa era la soluzione “semplice” con la quale non si perde “nemmeno un minuto” al lettore non resta che domandarsi cosa succederà quando si troverà la soluzione con la quale almeno un minutino bisognerà spenderlo. Comunque vadano le cose, la formula per ora non ha convinto e allora, si passa dalla tecnica alla politica. Ed interviene Di Rubbo con una dichiarazione che in pratica spiegava che così come lo si vede, il piano vale quando lo stadio non sarà più in R3 ma verrà spostato con una nuova struttura altrove. Insomma, è un piano con dei parametri “futuri” quello messo su nel comparto Prampolini. Praticamente è un piano veggente. Solo che il piano con lo “stadio a scomparsa” (un po’ come le isole ecologiche in centro) è stato allagato fin da subito di verde pubblico, mentre il Comune metteva nel piano delle alienazioni il parcheggio di via Volturno vendendolo come superficie mista commerciale e residenziale per 9000 metri cubi, togliendo i parcheggi che finivano dentro lo stadio. Insomma, passato, futuro e presente coesistono in un vortice temporale degno di Star Trek. Finalmente le doti da veggente dell’ex assessore Di Rubbo sono emerse in tutto il suo vigore. Un po’ come quando, con un colpo degno dell’oracolo di Delfi ha dichiarato in uno dei suoi ultimi interventi, magnificando l’operato della sua amministrazione: “Tra poco risponderemo anche alle necessità abitative di molti nelle fasce più deboli grazie alla conclusione dei primi lotti del Piano Integrato di Porta Nord. I lavori si concluderanno il 15 settembre 2015”. Il cartello del cantiere degli appartamenti al Pantanaccio finanziati con più di 4 milioni di euro confermava questa previsione. Peccato che, per ammissione della direzione lavori quel cartello era sbagliato, per non dire falso. Perché il termine reale dei lavori era il 15 di settembre, è vero, ma dell’anno prima, il 2014. Poi, per via di ritardi dovuti alla pioggia, adeguamenti, un cavetto dell’Enel tiene in scacco da anni un pezzo del cantiere (tra l’altro l’Enel ha negato di essere responsabile di questo fatto) e un surplus di spese da 350 mila euro per i materiali hanno portato l’opera alla data “predetta” da Di Rubbo. Anche qui, si vedrà, ma è confortante che tra veggenti e stregoni, l’urbanistica pontina sia stata condotta con una visione del futuro pressoché oracolare. Peccato che questi talenti non siano stati usati anche nei numerosi sfondoni collezionati a partire da via Quarto. Avrebbero fatto comodo.

Rino Monti 

mercoledì 29 luglio 2015

La strategia a perdere ovvero, Pd a caccia del voto moderato



L'abbraccio tra Tiero e Moscardelli

Provate un po’ ad immaginare l’incontenibile entusiasmo degli elettori del Pd – quelli che, tanto per dirne una, hanno partecipato numerosi alla festa democratica – quando apprenderanno che il grande piano di vittoria della sponda moscardelliana è quello di ricalcare le politiche nazionali in merito alle alleanze imbarcando Ncd.  Un Pd pontino, insomma, dai costumi e le fattezze della corte nazionale del governo renziano. L’evoluzione della Dc vecchio stile in salsa sociale condita a Roma da Alfano e che, in una vera slavina emotiva, arriva da Montecitorio precipitando sulla pianura pontino con il ticket Tiero. Con un siffatto piano è difficile immaginare che la “ola” di consensi elettorali parta da sinistra. Enrico Tiero, una vita nel centrodestra pontino, nel pieno della Forza Italia targata Fazzone, con il quale è entrato in attrito, da quel che si sa, per motivi di candidature ritirate alle regionali.  Infaticabile uomo di lotta e di trattativa, capace di stare con un piede in Provincia  in polemica alleanza con il neo presidente Della Penna e del Pd e con un altro, assessore e vice-sindaco di Giovanni Di Giorgi nel suo ultimo, comico rimpasto. Un uomo di entropia e di calcolo, autentico scienziato del flusso di voti locali. Al suo fianco per “supportare” il Pd locale, la giovane Patrizia Fanti, ex assessore all’ambiente e al sociale delle giunte di Zaccheo, arrivata fino a Di Giorgi ma defenestrata per una curiosa lite con una dirigente comunale alla quale avrebbe cambiato la serratura di una stanza impedendo alla funzionaria di entrare nel proprio ufficio. Più che una chiave di volta, insomma, è una solida “serratura”, capace certamente di raccogliere dei consensi assicurati in aree estremamente specifiche dell’elettorato, ma anche di annichilire la sensazione di un qualsivoglia intento innovatore. Del resto, dalla sponda moscardelliana, candidato sindaco a parte, non c’è molto da stare allegri fronte rinnovamento, visto che la maggior parte degli esponenti del Pd si portano almeno due mandati sulle spalle (quando sono giovani virgulti). Il pallino fisso di Moscardelli per ora è il “candidato esterno”. Uno dei requisiti per questo candidato sarebbe appunto quello di essere “percepito” come esterno al partito, quindi della società civile. Cercasi uomo moderato, che indossi gli occhiali e assomigli se non fisicamente, quantomeno spiritualmente all’ideale moscardelliano della politica. Quasi tutti questi requisiti sono pienamente rispettati dall’ottimo Francesco Damiani, eletto a suo candidato ideale per le primarie. Damiani rispetta senz’altro queste necessità alla lettera e in più, è un dirigente bancario di buon livello della Deutsche Bank, che almeno nell’immaginario collettivo, fa pensare a qualcuno che non avrà difficoltà a reperire fondi per la campagna elettorale. Gli mancano due requisiti fondamentali però. In primo luogo,  non è affatto un candidato “esterno” al Pd così come viene descritto, in quanto dirigente della segreteria provinciale del partito, moscardelliano di ferro, intimo di tutte le correnti attivate negli anni dall’amico senatore.   Inoltre, difficilmente può a ver giocato a favore del bancario e dirigente di pallanuoto più in voga del momento la capacità di raccogliere consenso, visto che l’ultima volta che si è, non senza sforzi, cimentato ad ottenere il consenso degli elettori pontini è stato con la lista “Sì per Latina”, che appoggiava Moscardelli e nella quale Damiani era tra i candidati più quotati. Il nostro però, purtroppo non è stato eletto, ed al suo posto è asceso in consiglio comunale un giovane politico ecosostenibile, che in un solo mandato ha saputo passare dalla sua lista civica , attraversando un moderatissimo percorso che lo ha condotto fino a Fratelli d’Italia: Maurizio Patarini. Passato dalla cultura dello “smart city” alla proclamazione del Duce come “colui che ha fatto gli italiani”. Niente male per uno che, in uno dei suoi ultimi discorsi in consiglio comunale, ha asserito che il Pd “è venuto a chiedermi la candidatura solo per avere i settanta voti della mia famiglia”. Poi dicono che non ci sono più le famiglie numerose. Per inciso,  Patarini è stato visto cenare alla festa del Pd e sembrava di ottimo umore. Sarà stato per l’ottima cucina ma stai a vedere che tra Tieri, Fanti e re, possiamo completare la scacchiera democratica anche con un alfiere Patarini? I voti di famiglia possono sempre fare comodo, come è noto, mentre l’entusiasmo degli elettori del Pd non potrà che moltiplicarsi nell’apprendere che il vero piano non è quello di avere i voti già idealmente “fidelizzati” del Pd, ma di ottenere quelli dei delusi di Forza Italia e dei moderati in salsa democristiana. Una strategia di “vittoria” attenta, coraggiosa e spregiudicata, che sembra voler sacrificare tutto sull’altare del consenso, perfino il consenso stesso. Il tutto per ricalcare le politiche nazionali renziane come se il contesto fosse lo stesso. A proposito, è notizia di ieri che Casini avrebbe scaricato Berlusconi asserendo che “E’ Renzi il domani”. Udc, in cerca di alleanze “a sinistra”. Seguono scene di giubilo.





lunedì 27 luglio 2015

L'urbanistica, i rifiuti e le giacchette tirate...


Ventura "Rino" Monti, dirigente all'ambiente ed ex direttore generale e protagonista dell'urbanistica pontina

Giovanni Di Giorgi
Tra tutti gli esempi e le esagerazioni usate da Giovanni Di Giorgi il giorno delle sue prime, drammatiche ed irrevocabili dimissioni (revocate puntualmente solo 19 giorni dopo) alcune spiccano. Per esempio "lo faccio perché voglio potermi guardare allo specchio la mattina. Perché voglio poter guardare in faccia mia figlia". Oppure "la mancanza di una cornice di partito, ha spinto molti singoli a cercare i loro interessi particolari in maggioranza". Ma la frase che ha fatto più effetto, stranamente, è stata quella veramente più banale ma che in effetti evoca efficacemente un malcostume della politica: "non mi faccio più tirare per la giacchetta". Questo della giacchetta tirata è stato il leitmotiv intorno al quale ha girato tutto il ragionamento di Giovanni Di Giorgi nell'ultimo, travagliatissimo periodo del suo mandato. Dal canto suo, il Pd invitava alla chiarezza: "Il sindaco faccia nomi e cognomi di chi gli tira questa giacchetta di modo che la città sappia la verità”. Eppure, tra Fratelli e Forza Italia c'è stata convergenza e grande capacità di appianare le dispute in maniera silenziosa. Sembrano lontani i tempi nei quali Giovanni Di Giorgi firmava l'acquisto di una casa dal costruttore ed ex consigliere di Forza Italia Malvaso. La vicenda scoppiava proprio mentre a Latina impazzava la polemica della cosiddetta "Variante Malvaso" a Borgo Piave. 
Enzo Malvaso
Ma oltre l'intendersi sui gusti nel ramo immobiliare, tra Giovanni Di Giorgi e i più potenti tra gli azzurri della sua giunta,  sembrava esserci una grande capacità di appianare dispute anche molto importanti. Per esempio, quando Di Giorgi diventa sindaco, l'onnipresente architetto e dirigente del Comune Ventura "Rino" Monti viene spostato dai suoi molteplici compiti nel settore urbanistico ed edilizia pubblica e privata per essere sistemato in una più tranquilla mansione all'anagrafe. Forse un controsenso, visto che proprio lo stesso Monti è da tempo responsabile unico di diversi procedimenti edilizi e urbanistici di grandi proporzioni. Vedere il super dirigente dai mille e più incarichi di servizio confinato in una così arretrata trincea, lontano dall'azione a cui era abituato, però, deve essere dispiaciuto a qualcuno, perché poco tempo dopo, Monti torna in auge e diventa niente meno che direttore generale dell'ente. L'indirizzo politico per questo tira e molla di emozioni deve essere venuto in principio dal sindaco. Chi ha convinto il sindaco a riprendersi ed anzi, a potenziare Ventura Monti? Perché sarà pur vero che Monti è una grande risorsa e una memoria storica importante per la pubblica amministrazione, ma è anche vero che questa memoria non gli è servita per impedire l'imbarazzante scacco matto di via Quarto, per esempio. Chi ha "tirato la giacchetta" al sindaco per riprendersi Rino Monti che era stato allontanato dall'urbanistica?  Un altro caso? Nel febbraio di quest'anno, la Regione Lazio moltiplicava pani e pesci a favore della discarica di Borgo Montello. Per la precisione, si approvava l'autorizzazione integrata ambientale di Ecoambiente, che in pratica permetteva alla società di continuare ad operare. Inoltre, la Regione assegnava 25 mila tonnellate alla Indeco e altre 25 mila alla Ecoambiente. In quello stesso periodo, il nome di Michele Civita torna a fare capolino sempre più spesso tra i politici e sulla stampa. Di Giorgi lo vede spesso, e in una altalena di dichiarazioni un giorno si dice che sarà il Comune a risolvere la crisi urbanistica, un altro che sarà la Regione, che i piani vanno rivisti, sospesi per 45 giorni, cancellati e chi più ne ha più ne metta. In quello stesso periodo, secondo Malvaso, si sarebbe consumato lo "scambio" urbanistica e rifiuti. A conferma di ciò ci potrebbe essere una dichiarazione di Pansera, che in una intervista rivelava: "Ho incontrato l'assessore Michele Civita che si è raccomandato di affrettare l'approvazione definitiva della variante urbanistica della discarica per poter risolvere la questione". A Michele Civita non mancherebbero certo le deleghe per stringere un simile "patto" ma perché avrebbe dovuto farlo? Questo non lo spiega Malvaso e non lo spiega nemmeno Di Giorgi, che anzi, di fronte alla tanta carne al fuoco messa dal suo ex amico e costruttore di fiducia, oltre che co-indagato per la questione della variante, non ha ancora risposto. Ci sono solo due cose certe su queste presunte giacchette tirate. Queste sono alcune delle domande che i cittadini avranno modo di fare tra non molto tempo, quando le elezioni rientreranno nel vivo, perché se è vero che di giacche tirate si è molto parlato ma non si può dimostrare molto, è anche vero che le prossime giacche ad essere tirate, senza ombra di dubbio saranno ben altre: le vostre, quando torneranno a chiedere il vostro voto. Ps, a proposito di contatti tra urbanistica e rifiuti, indovinate chi è stato messo al settore ambiente in sostituzione della dirigente uscente De Simone? In molti lo sapranno già, è Ventura Monti. Quando si dice il caso.
Il sindaco con alcuni dei suoi assessori e i tecnici sul nuovo ponte del Pantanaccio

sabato 25 luglio 2015

Enrico Forte obbligato a gridare "all in"


Enrico Forte in versione pokerista (immagine del Giornale di Latina) 




Giorni fa, si è tenuto un incontro nel quale erano presenti nomi grossi della nomenclatura di sinistra del Partito democratico, tra i quali Massimo Passamonti o Titta Giorgi. Protagonista di questo incontro riservato, in una elegante serata al “Foro Appio” era Enrico Maria Forte, classe 1960 nato a Priverno, separato e con una figlia di circa 19 anni alla quale dimostra di essere particolarmente attaccato. Il giorno del suo successo di voti che lo ha portato in consiglio regionale con 12.392 voti – appena 81 in più del suo diretto rivale interno Giorgio De Marchis – dichiarava infatti alla stampa che gli chiedeva del suo futuro: “il mio futuro? Per ora penso che festeggerò insieme a mia figlia con una bella cena”. Una delle poche esternazioni spontanee di questo personaggio della politica pontina molto prudente nelle dichiarazioni. In questo incontro con il gotha della sinistra moderata della Provincia di Latina Forte sembra abbia disegnato definitivamente la sua traiettoria che lo spinge diretto alla corsa alle primarie del partito per poi concorrere al posto di sindaco.
Se il senatore Moscardelli in queste elezioni ha molto da perdere in termini di presa sul partito provinciale (può definitivamente perdere il dominio in caso di una sconfitta della sua linea alle primarie), Enrico Forte invece, sembra percorre un cammino obbligato che lo conduce alla guerra. O Forte sarà capace di reperire le risorse per contrastare Moscardelli oppure può pure dire addio alla sua carriera politica non appena scadrà il suo mandato da consigliere regionale, quindi deve fare “all in” e rischiare il tutto e per tutto. Per capire come, questa situazione si sia venuta a generare è bene guardare indietro, nel passato di Forte. Fin da ragazzino, Forte si occupava attivamente di politica. E nella politica che conta Enrico Forte c’è dentro fin dalla prima Repubblica, assessore del sindaco Romagnoli e poi dell’esperienza con Maurizio Mansutti. “Quella fu la mia esperienza più esaltante – ha detto un giorno – volevamo davvero cambiare la politica”. E di mala politica Forte parla spesso, con parole dure, quando accusava tutti gli assessori ai servizi sociali a partire da Cirilli fino ad arrivare ai giorni nostri, di aver utilizzato il loro ruolo per aumentare i loro consensi “approfittando dell’incarico che li metteva a contatto con le fasce più deboli per fare incetta di voti”. Un ruolo, quello dell’assessore, che Forte ha conosciuto fino alla fine dell’esperienza Mansutti e su cui ha fondato uno dei suoi argomenti sensibili. In seguito entrerà in un’altra pubblica amministrazione, questa volta come dipendente. E sulla cultura e l’istruzione, da allora, ha sempre puntato come “volano di sviluppo”. Un altro momento importante della sua carriera arriva quando diventa vicepresidente dell’Ater con Claudio Lecce presidente. Membro dei Cristianosociali, Forte diventerà anche un battagliero segretario provinciale dei Ds. In quello stesso periodo, Moscardelli è in forte ascesa, mentre Forte è una pedina di mezzo ambiziosa e promettente, ma non troppo fortunata, perché non trova spazio nella politica di prima linea. Sarebbe stato Claudio Lecce – oggi suo personalissimo saggio, che lo appoggia sempre – a spingere Moscardelli a rimetterlo in pista nella politica con un ruolo di coordinamento. Moscardelli accetta, ed insieme ad altri lo fanno diventare segretario provinciale del Pd, in chiave critica verso i vecchi compagni dei Ds, che sono in molti casi contro Moscardelli.
Enrico Forte e Claudio Moscardelli 
E Forte diventa un moscardelliano di ferro, moderato e capace di essere di grande supporto. E’ sempre Moscardelli che lo candida consigliere regionale, tirando la sua volata con molto impegno, probabilmente in chiave opposta alla candidatura di Giorgio De Marchis. Ma già dalla campagna elettorale, Forte cambia musica ed entra in attrito – non si sa bene perché – con Moscardelli. Ed una volta diventato consigliere regionale i rapporti si surriscaldano ulteriormente. Come consigliere regionale si è caratterizzato per la sua durezza nei confronti di alcune società partecipate, come l’agenzia “Formazione Lavoro”, che è stato uno dei suoi bersagli polemici preferiti. Ma non tutte le partecipate sono nella sua black list, perché da consigliere regionale ha speso ottime parole ed azioni per la “Compagnia dei Lepini”, addirittura con un emendamento al bilancio 2014 – emendamento bocciato – che toglieva 200 mila euro ad un progetto nell’ambito dell’università (un progetto senza futuro secondo Forte), per farli assegnare alla partecipata lepina. Nel Pd di Latina viene visto come l’unica alternativa a Moscardelli, e tra gli ex consiglieri vanta diversi fedelissimi, come De Amicis, Fioravante o Porcari e, un po’ a corrente alternata, anche la simpatia di Rosa Giancola, consigliere regionale che a volte gli dichiara eterno amore – politicamente s’intende – ed altri invece si ritrae. In Claudio Lecce, lo abbiamo visto, depone molta fiducia come anche, in ambito provinciale, può contare su molti sostenitori, come si è potuto vedere nella questione di Priverno dove veniva sfiduciato - dopo appena un anno di governo -  Delogu. La giunta era di centrosinistra e si dice che ad organizzare tutto sia stato Enrico Forte che ovviamente nega. Anche perché in altri sostengono che il regista occulto di quella storia sia stato un altro che nell’entourage di Enrico Forte avrebbe un certo peso: Antonio Sulpizi, architetto, socialista,  personaggio di media grandezza nel periodo tangentopoli, arrestato per la cosiddetta storia dell’appaltone insieme a mezza Dc pontina (con contorno di socialisti ovviamente)  che vide coinvolti politici, tecnici ed amministratori, quasi tutti (come lo stesso Sulpizi)  assolti, prescritti o patteggiati. Nel suo caso fu prescrizione con l’obbligo però di risarcire più di 200 mila euro. Sarebbe stato lui, secondo alcuni, il regista occulto della trama che è costata la fascia a Delogu e che ha quasi spezzato il Partito democratico. Alla fine Enrico Forte, visto che era in minoranza sul commissariamento del partito, ha votato la mozione dell’arcinemico Moscardelli mentre tutti i suoi votavano contro. “Non volevo che ci fossero perdenti in questa votazione” pare abbia detto dal fondo della sala della riunione. . Tra Moscardelli e Forte, quindi, non esiste un divario generazionale, né tantomeno una contesa ideologica. Esiste molto probabilmente una rivalità quasi dettata dall’istinto di sopravvivenza. Ed Enrico Forte deve aver capito che dopo il primo mandato da consigliere regionale non avrebbe trovato i voti di Moscardelli a riconfermarlo. Per lui, la campagna da sindaco, oltre che una legittima aspirazione personale, potrebbe anche essere l’unico modo per darsi una continuità politica con il ruolo da sindaco, oppure tirarsi la volata per alzare il prezzo politico del suo ritiro, in una eventuale ricomposizione. O un rilancio dove si gioca tutto o un bluff da campionato mondiale. In ogni caso, Enrico Forte deve essere pronto a giocarsi tutto, perché a differenza di Moscardelli, sembra non avere quasi più niente da perdere. 

martedì 21 luglio 2015

Moscardelli, un "Re Sole" che cerca di non tramontare



Moscardelli in versione Re Sole in una vignetta de "Il Giornale di Latina"


 Che il partito democratico sia diviso in due ormai lo sanno tutti. Da una parte i moscardelliani e dall'altra quelli che stanno con Forte, questo suona lampante a chi ha osservato il Pd pontino anche solo marginalmente negli ultimi due anni. Più sfumato
Enrico Forte
è il rapporto di forza tra i due contendenti che, in realtà, fino a poco tempo fa, si vedevano molto più da lontano di così. Infatti, non molto tempo fa, Claudio Moscardelli imperversava come un "Re Sole" e tutto ciò su cui ricadeva il suo sguardo, nel Pd di Latina era un gruppo di persone quasi tutte sue alleate. Ma ora le cose stanno decisamente cambiando e i rapporti di forza, molto lentamente, si stanno assottigliando. Se prima Enrico Forte si muoveva con piccole "azioni da guerriglia" quasi occultate, oggi comincia a far vedere il luccicare dei cannoni e a far sentire il tamburo di qualche armata (tutte puramente ipotetiche, perché qui si parla solo di esponenti politici e non di voti). Moscardelli dal principio, non sembrava preoccupato, ma ora un po' di magone sarebbe giustificato a sentirlo. Uno sgambetto alla volta, aiutato un po' dalla fortuna e un po' dalla voglia di rivalsa di alcuni, Enrico Forte ha guadagnato campo. Il segreto del successo tutto interno di Forte si può forse leggere con la sua maggiore vicinanza al territorio che gli deriva dal suo incarico di consigliere regionale. Pochi giorni fa, per esempio, mentre Enrico Forte scriveva la sua dichiarazione d'intenti che di fatto è una discesa in campo per la candidatura a sindaco, Moscardelli partecipava ad un convegno romano dal nome molto significativo: "Roma protagonista". Il senatore, infatti, per il suo ruolo deve impegnarsi su tematiche nazionali, è affaccendato con la commissione antimafia, che porta molti grattacapi, come grattacapi gli sono arrivati dai ruoli correlati alla sua attività, si veda tanto per citarne una, la controversa decisione sull'autorizzazione a procedere nei confronti di Calderoli per la vicenda degli insulti al ministro Kyenge.
Enrico Forte e Moscardelli
Senza contare che, come risvolto locale del suo periodo come consigliere regionale a Moscardelli è rimasta solo l'indagine della Procura di Rieti sullo scandalo rimborsopoli. Tutte cose che logorano, specie in ambito locale. Senza contare che Moscardelli, alle ultime elezioni, nonostante le bocche da fuoco del Pd nazionale si siano date da fare, non è riuscito proprio ad incidere e alla fine un avversario poco convinto (che poi si è anche rivelato poco convincente come Di Giorgi) ha vinto a mani basse. Invece Enrico Forte va a braccetto con Civita su molti temi - con alcuni distinguo, a dire il vero - per le questioni ambientali è ben introdotto in Regione Lazio ed ha una capacità di presa sul territorio che Moscardelli al momento non si sogna nemmeno. Basti pensare all'ultimo scontro tra i due, per il caso del Consorzio Industriale Roma Latina, dove la parte moscardelliana voleva far ascendere Pina Giovannoli mentre dalla Regione si pretendeva un presidente romano. Alla fine ha prevalso la Regione e fautore dell'operazione è stato Enrico Forte, con grande mestizia - per non dire rosicata - di Moscardelli su Facebook. Ora per il Senatore, tocca pure aspettare per vedere se ci sarà un effettivo travaso di consensi da parte degli esponenti del partito verso Forte, e molti sembrano già passati dall'altra parte. Ormai, per Moscardelli, è difficile trattare al tavolo degli accordi, mentre per Enrico Forte sembra solo questione di tempo. Efficace la sua mossa di fare una proposta d'intenti per il Pd proprio nel periodo della festa democratica, dove in molti si raduneranno, parleranno tra loro, e chi lo sa, magari cambieranno idea e lasceranno il senatore sempre più solo con il suo ruolo nazionale. E' in queste situazioni, però, che si vede la tempra di un leader. In ambito comunale, Forte ha il doppio vantaggio di essere consigliere regionale ed essere il candidato di se stesso, cosa che lo spinge a creare una visione che si suppone, dovrà essere entusiasmante. Moscardelli per ora ha risposto con Damiani, che quando si è presentato con una lista civica in appoggio a Moscardelli, nel 2011, è finito secondo. Per inciso, il primo di quella lista era Maurizio Patarini. Questo ci lascia la misura di quanto sarà dura per Moscardelli fare di Damiani la sua carta vincente. A meno che, qualcuno dei suoi, non riesca a convincerlo con le buone o con le cattive (minacciando di andarsene per esempio) a desistere dal suo progetto civico, e assegnare il compito di battere Forte ad un politico. Sono in pochi, però, ad avere questa capacità di voto. Il tramonto, comunque, sarebbe forse solo rimandato. Anche se una cosa bisogna pur osservarla. Anche all’inizio di quest’anno si diceva che Moscardelli era in declino ma è ancora al suo posto. E quanta possibilità avrà Forte di essere eletto di nuovo consigliere regionale se perde le primarie? In gioco, per entrambi, c’è sempre di più.  
De Marchis e Sarubbo alla "Festa Democratica"

martedì 14 luglio 2015

Pennacchi ha ragione pure quando ha torto



Lo scrittore Antonio Pennacchi (Il Giornale)


Per Latina Antonio Pennacchi è come uno dei suoi libri: ormai è un classico. C’è un prima e un dopo l’opera letteraria del Maestro, il narratore per eccellenza del nostro territorio, questo è indiscutibile. Per cui, a Latina Pennacchi è un classico nel senso più nobile del termine. Pietrangelo Buttafuoco ci confrontava in questa definizione affermando, durante una sua visita a Latina, che “Pennacchi è un meraviglioso frutto della storia della vostra città”. E i classici, si sa, non si recensiscono né tanto meno si ignorano, figuriamoci se si ha la libertà di criticarli. Ma quando i classici scendono in piazza, così, tra i comuni mortali nelle questioni terrene per parlare di urbanistica partecipata insieme al bomber Mannarelli, a Pasquale Maietta (“l’unico politico con una visione di futuro, un uomo capace di tutto” secondo Pennacchi), il presidente Cavicchi, ai tifosi con tanto di striscioni e al calciatore brasiliano Jefferson (fine urbanista che paragonò Cori ad una favela brasiliana), e immerge in questo caos le sue mani che hanno consegnato alla storia nazionale la città di Latina consacrandola nella grande narrazione del nostro tempo, il rischio di confondersi c’è. Questo perché l’uomo Pennacchi, al di là del suo status di classico, è anche l’uomo della fabbrica, della Fulgorcavi che ha chiesto, inascoltato, che Latina tornasse ad essere quel furore di ferro fuso e di fumi rossastri dei cieli tratteggiati dagli altiforni che era un tempo. Una città “produttiva”. Ma oggi, per Pennacchi l’eccellenza della produzione è il calcio, ed è un classico che lo dice, ci dobbiamo credere, anche se la storia ci insegna che il calcio, di suo, ha in genere dilapidato fortune anziché crearle. Del resto il Premio Strega è capace di svuotare di significato un lungo discorso con la stessa semplicità con cui è capace di risolvere la situazione con una battuta fulminante, come quando ammutolì durante una trasmissione Mediaset il verboso leghista Buonanno dandogli semplicemente del somaro. La figuraccia del leghista fu talmente clamorosa che Mediaset pare abbia fatto sparire  il filmato. Pennacchi è così, si butta nelle battaglie a capofitto e proprio nel momento di massima condivisione con la piazza riesce a dire qualcosa di divisivo. Al raduno di protesta della Nexans – ex Fulgoravi che al tempo stava per chiudere – salì sul palco, collezionando applausi finché non auspicò la riapertura della centrale nucleare– era un periodo in cui il tema era in ballo – come soluzione a tutti i mali energetici e soprattutto, come grande fonte di commissioni per la fabbrica. Ne scaturì una lite con Claudio Moscardelli che lo accusò di dire “cazzate ai lavoratori”.
Lo stadio Francioni
Più recentemente lo scrittore, durante una manifestazione del Pd dedicata all’immigrazione, dopo una serie di argomentazioni sensate e piene di risvolti e spunti storici degni di un collaboratore di grido della rivista Limes qual è, si ricordò di quei tempi in cui “la polizia menava”. “Si caricavano quello che stava ubriaco per strada – disse -  lo portavano in caserma e gli menavano un po’. Se lo facessero adesso è capace che li denunciano e allora mandano le ambulanze”. E pochi giorni fa, al cospetto della sua terra, quella terra che tanto bene ha narrato, massacrata dall'emergenza rifiuti e dalle discariche abusive, dalle follie urbanistiche, da crisi sociali, dall'emergenza abitativa e chi più ne ha più ne metta, il Maestro era lì, a proteggere l’indiscutibile eccellenza del Latina Calcio; “L’unica cosa che va bene a Latina”. E’ un classico che parla e non si discute. Un classico che ha narrato il passato di questa terra e come gli capita di dire qualche volta: “io sono un uomo del mio tempo, e il futuro non mi appartiene, non lo conosco e non so prevederlo”. Ma non smette di sognare, il Classico Pennacchi, a volte urlando e a volte spiegando la sua particolare visione del futuro che spesso il pubblico applaude, ma che non vota, come la sua bizzarra esperienza alle scorse amministrative ha insegnato. Ma è un classico che parla. E i classici hanno ragione anche quando hanno torto. 


sabato 11 luglio 2015

Il commissario Di Giorgi




Giovanni Di Giorgi, ex sindaco di Latina 
Proviamo a fare un gioco d’immaginazione: supponiamo che le cose dette e i provvedimenti presi dal commissario Barbato in merito alla Latina Ambiente li avesse potuti formulare l’ex sindaco Di Giorgi. Proviamo per esempio ad immaginare Di Giorgi che si rimette a fare tutti i conti della Latina Ambiente come se fosse una società che svolge in pieno il suo compito e non sia invece quella ditta che ha lasciato per anni l’immondizia per le strade, che insieme agli scienziati della politica ha fatto collassare il sistema di Isole Ecologiche, che è entrata numerose volte in rotta di collisione con le aziende alle quali ha affidato servizi (come la Poseidon) creando spaventosi buchi da centinaia di migliaia di euro e che non è riuscita negli anni a delegare nitidamente nemmeno il servizio di derattizzazione che è finito conteso tra due aziende fino al Consiglio di Stato, che costa alla collettività 150 mila euro, soldi spesi per poter ammirare i topi che scorrazzano per il centro di Latina. Una società che negli anni ha imboccato quasi tutte le vie contromano peggio di un turista su via del Lungomare. La società che tutti volevano chiudere a parole, con una politica che ha avuto 4 anni per elaborare il piano di chiusura e che invece non ha fatto nulla in assoluto. E provate ad immaginare il sindaco Di Giorgi che ricordava come “sarà la civica amministrazione a dover scegliere il modo corretto di gestire il servizio in futuro” che poi contraddice con gli atti una decisione presa dal consiglio comunale votato dai cittadini. Il tutto per evitare “svendite e speculazioni” quando naturalmente nessuno aveva intenzione di comprarsi la società o le sue quote ma bensì fare una società ex novo attraverso un regolare bando di gara. E da quando i bandi di gara europei sono delle “svendite?”. Provate a immaginare la faccia che avrebbero fatto quelli del  Pd leggendo un provvedimento che sembra ricopiato da un discorso di Massimo Giungarelli, presidente della società che parla di garantire i livelli occupazionali e di “salvaguardare il valore della partecipazione che la società ha investito in Ecoambiente. Del resto, basta ricordarsi che il Pd si è preso i fischi dei lavoratori della Latina Ambiente pur di chiudere la società “perché andava assolutamente chiusa questa storia”. Invece non è Di Giorgi, ma è il commissario a parlare e allora ben venga la “continuità amministrativa” di una società che secondo il suo stesso presidente avrebbe bisogno di 10 anni per rimettersi in piedi (altro che due) e che al suo interno non ha solo la raccolta rifiuti, ma ha il passato, il presente e il futuro di un sistema che parte dal cassonetto e arriva fino alla discarica. Una storia che ha nomi importanti come protagonisti in commedia, illustri rappresentanti della storia dei rifiuti la maggior parte dei quali riuniti nel maxi processo Cerronopoli come Bruno Landi che è stato amministratore – badate bene, contemporaneamente – sia della Latina Ambiente che della Ecoambiente, una delle due società della discarica monstre di Borgo Montello, due volte imputato a Latina e a Roma rispettivamente per inquinamento ambientale e per lo scandalo del sistema di potere Cerroniano come suo braccio destro. Tra Il socio privato della
Il commissario Barbato con il segretario generale dell'ente
Pasquale Russo
Latina Ambiente, Francesco Colucci o la schiera di società, S.r.l. da 10 mila euro, castelli di debiti e di crediti, interessi nel tira e molla dei rifiuti costellate di indagati, di segnalati e di imputati e che sono direttamente riconducili, secondo le testimonianze del processo in corso alle ditte di Cerroni. Per tacer del volume occupazionale della società, creato – come vuole la leggenda – a colpi di raccomandazioni. Questo è ciò a cui si sta dando continuità da quel che dicevano i dem e questo era il quadro che il Pd aveva presentato in consiglio comunale non molto tempo fa, quando c’era da far cadere il sindaco Di Giorgi. E se al posto di Barbato ci fosse ancora Di Giorgi, oggi il Pd sarebbe sceso in nome della lesa democrazia in piazza o quantomeno annuncerebbe sdegno e contrarietà. E invece tutti felici e contenti “In fondo è meglio così”. Era meglio dare ragione a Di Giorgi, allora, che in fondo chiedeva molto meno di un anno per la proroga. L’intervento di Barbato voleva essere Pilatesco e invece è stato interventista come e più di quanto avrebbe potuto sognare il sindaco Di Giorgi, contraddicendo il Consiglio Comunale, senza che i pomposi oratori di Pd o Forza Italia abbiano alzato un sopracciglio. Il gioco è finito e comincia la realtà.  Alla fine è passata la linea dell’ex Sindaco che doveva risolvere il problema e invece lo ha lasciato incancrenire fino all’ultimo perché evidentemente aveva altri piani. Il Pd viene battuto anche con l’avversario assente e invece di protestare o di battagliare sembra che vada in villeggiatura. Contenti loro. 

(Da "Il Giornale di Latina" del 10 luglio)