lunedì 8 giugno 2015

Panigutti, l'investigatore dell'ovvio (pubblicato su "Il Giornale di Latina" il 7/6/15)

L'avvocato-blogger Mario Piccolino 
Nella cultura “Smart del consumismo occidentale” c’è sempre una divisione davanti ad un delitto anomalo come quello di Mario Piccolino. Ha ragione il direttore Alessandro Panigutti che ci mette doverosamente in guardia con un suo editoriale di qualche giorno fa sul quotidiano Latina Oggi: ci sono sempre quelli che parlano troppo in fretta di Camorra o di mafia. E’ pure vero che ci sono sempre quelli che, di contrasto, troppo presto spazzano via questo spettro con grande semplicità, un po’ come facevano quei vecchi esperti di vita che nei famosi delitti, con il cadavere ancora caldo e i bossoli dei proiettili a terra si affrettavano a sentenziare: “storia di corna fu”. Loro, veterani dei rumors di piazza, li conoscevano tutti i chiaroscuri di quelle vittime e a volte, ci indovinavano pure. Ha ragione Panigutti quindi, occorrono certezze, specialmente quando la vittima “sfugge alla collocazione socioculturale certa e riconoscibile”. Non si sa mai se era un “folle” o se era “troppo intelligente per essere compreso dagli altri”. In ogni caso, se non hai fatto informazione in maniera canonica, se non sei iscritto al giusto ordine professionale, se non hai la tessera di “giusto”, se non hai la giusta toga allora chi sei? Potresti anche essere uno svitato ucciso chissà per quale motivo. Poco importa se hai già subito minacce di vario genere e se un certo signor Bardellino ti ha colpito, in passato ben cinque volte in testa con un crick arrugginito. Poco importa il contesto. Se non arriva proprio uno con la lupara e la coppola o il comunicato su carta intestata dall’addetto stampa della Mafia S.p.a. c’è il rischio di fare brutta figura a dire che c’è qualcosa di sospetto. Meglio essere sicuri, certi al 100%, ha ragione Panigutti. Nella cultura “Smart del consumismo occidentale” del resto, si spacciano per inchieste le paginate fatte ricalcando il contenuto dei dischetti della Procura, specialmente nel giornalismo locale, per cui ha ragione il direttore Panigutti a bacchettare queste frettolose abitudini. Per Panigutti è troppo presto per dire l’eventuale movente del crimine – e vorremmo ben vedere, si sta ancora indagando – però non fa fatica a profetizzare che “ci sono poche speranze di sapere chi ha sparato a Piccolino. Di quell’uomo non si sa niente, ma proprio niente!”. Il fatto che uno a caso, preso da una lite personale, sia stato capace di entrare senza farsi riconoscere e sparare un colpo in testa non deve far riflettere, nossignore, "non se ne saprà niente!" Vorrà dire che ce ne faremo una ragione. Un po’ come non si è saputo più niente di certi atti intimidatori a magistrati ed avvocati, che però hanno avuto ben altro trattamento dal direttore. Anche su un caso delicato come quello di Don Cesare Boschin il direttore è illuminante. “15 anni fa – raccontava Panigutti nello stesso editoriale – il parroco 81 enne di Borgo Montello veniva ritrovato morto nella canonica, mani e piedi legati con del filo elettrico” (alcuni direbbero incaprettato, ma è meglio non usare termini imprudenti) con la morte che sarebbe sopraggiunta perché “probabilmente per urlare ed attirare l’attenzione dei vicini era rimasto soffocato con la dentiera che gli è andata di traverso”. Però qualcuno gliel’ha mandata di traverso questa dentiera e pare lo abbia fatto colpendolo con dei gran pugni in faccia. “Forse un ladro maldestro”, dice Panigutti, che si dichiara pronto a fare qualsiasi ipotesi, tutte egualmente intelligenti e credibili ci mancherebbe, ma quella del possibile movente mafioso è l’unica che lo infastidisce, e infatti dice nel suo scritto: “non sappiamo se Don Cesare abbia mai pronunciato la parola mafia o camorra nelle sue omelie né ci risulta che si sia mai schierato apertamente contro la discarica dei rifiuti, che peraltro all’epoca dei fatti dava da mangiare a più di qualche d’uno dei suoi parrocchiani”. Secondo i comitati cittadini che oggi sono parte civile nei processi per inquinamento delle falde, composto da persone che in quei posti hanno vissuto e vivono tutt’ora, a seguito di quell’omicidio gran parte del comitato dell’epoca – molto più numeroso e battagliero di quello di oggi – si è “disciolto come neve al sole”. Anche qui, nessuna certezza, ma almeno una conseguenza chiara c’è stata: quelli del comitato hanno avuto paura dopo la morte del prete. Di certo c’è che il sistema “Cerronopoli” – non la mafia e anche qui, saranno gli inquirenti a decidere - che passava anche per Latina, ha visto l’arresto di molti che furono protagonisti di quella stagione difficile e che tantissimi dubbi sono rimasti in merito a fusti e veleni. Tutti misteri irrisolti, sia chiaro e naturalmente, mai giocare con i fantasmi del passato ma anche qui, il contesto ha un suo peso.  Un’altra certezza è che le discariche continuano a dare da mangiare a molti parrocchiani “fedeli di santa romana chiesa” e dei suoi processi millenari. Umili “poveracci” ma anche avvocati, consulenti, potenti di molti settori, giornalisti quando non interi giornali e televisioni. Ha ragione Panigutti, non bisogna iscrivere nessuno nel pantheon delle vittime di mafia, ammesso che esista “prima che siano stati acquisiti ragionevoli elementi a sostegno di quell’inquadramento”. Una conclusione degna di un investigatore dell’ovvio, com’è giusto essere quando i processi vengono giudicati dagli altri e ci si limita a commentarli. E se c’è il sostegno di un comunicato stampa ufficiale, una sentenza e magari anche il sigillo della Procura, è anche meglio. 

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